Via della Seta: l’uscita dell’Italia e il nuovo possibile scenario economico

Il progetto cinese della Via della Seta è pronto ad essere abbandonato dall’Italia il prossimo anno; sarà vantaggioso per noi o ne soffriremo le conseguenze?

 

 

La Via della Seta è l’enorme progetto cinese progettato e partito anni fa, all’alba della presidenza di Xi Jinping, che ha lo scopo di far tornare in auge il commercio asiatico e di rendere la Cina la prima potenza mondiale in ambito economico; questo programma infatti prevede il potenziamento e la costruzione ex novo di una serie di collegamenti viari e marittimi che permettano di unire i più importanti centri economici dell’Asia e dell’Europa con il fine di agevolare e ottimizzare la circolazione dei prodotti commerciali e dei servizi cinesi.

L’Italia del primo Governo Conte firmò con la Cina un memorandum che sanciva la partecipazione attiva del nostro Paese all’interno di questa iniziativa (primo e unico Paese del G7 a firmare) attraverso la costruzione ed il potenziamento di infrastrutture di collegamento strategiche che avrebbero permesso di migliorare la circolazione dei prodotti cinesi all’interno dell’area europea; oltre ai progetti infrastrutturali il memorandum prevedeva anche accordi commerciali fra aziende cinesi ed aziende italiane per un valore di 7 miliardi di euro, utili al pareggiamento della bilancia commerciale del nostro Paese.

Il Governo Meloni, dopo il vertice NATO di Vilnius e l’incontro con il Capo di Stato americano alla Casa Bianca, sembra essere fortemente intenzionato a non rinnovare questo memorandum, sancendo di conseguenza l’uscita dalla Nuova Via della Seta dell’Italia; l’abbandono del progetto da parte del nostro Paese sembrerebbe possa essere spiegato come la volontà da parte del Governo di mostrare la sua fede atlantista, richiesta in modo particolare dagli USA che considerano l’Italia come un partner solido e certo.

L’uscita dell’Italia dal progetto cinese comporterà ovviamente delle rinunce a livello di possibilità economiche, vista ad esempio la conseguente impossibilità di chiudere quegli accordi commerciali fra aziende cinesi e aziende italiane che avrebbero fruttato 7 miliardi di euro. Le rinunce poi ci saranno anche a livello infrastrutturale: tutti quei progetti destinati al potenziamento dei nostri hub commerciali con l’aiuto delle risorse cinesi cesseranno ovviamente di esistere, nonostante l’inopinabile necessità di rinnovamento in cui versano alcune delle nostre infrastrutture.

 

 

Al di là di queste rinunce però l’abbandono della Via della Seta potrebbe essere interpretato positivamente se osservato attraverso una chiave di lettura socio-ambientale a lungo termine: il progetto cinese si pone in continuità rispetto alle forme di economia globale degli USA, e di conseguenza come un’evoluzione semplicemente politica del medesimo sistema capitalistico, che cambierebbe non le sue forme (anzi le potenzierebbe), ma la sua sorgente principale, che si sposterebbe da Occidente a Oriente.

La scelta del Governo Meloni può suscitare critiche e apprezzamenti come ovvio che sia, ma pone in maniera inopinabile un freno alle mire commerciali della Cina in Europa, soprattutto alla luce della posizione geografica dell’Italia che la rende un hub unico in grado di interconnettere l’Asia con l’Europa meridionale e centrale.

La Nuova Via della Seta spremerebbe le ultime gocce di linfa capitalistica da un sistema economico che, allo stato dei fatti, sembrerebbe tendente al fallimento: proprio come previsto il sistema sta accentrando la maggior parte del potere economico nelle mani di sempre meno persone, riducendo la fascia media trainante, esasperando i prezzi dei beni più necessari e compromettendo l’ambiente circostante con tutti i risvolti ecologici negativi che questo sistema comporta.

 

 

Questo freno non dovrebbe essere inteso però come la volontà atlantista di non perdere lo scettro dell’economia globale in favore di un Paese orientale dalle marcate sfumature dittatoriali, ma come l’opportunità per lanciare un segnale destinato a far riflettere la politica internazionale sul legame fra futuro socio-ambientale e futuro economico della nostra società; potenziare o comunque continuare a mettere in pratica un sistema di economia capitalistica globale può non essere la soluzione.

Per decretare la fallibilità di un sistema non è necessario superarne i limiti: basterebbe accettare il normale mutamento che contraddistingue tutti i sistemi dell’universo ed agire di conseguenza.

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