USA contro Cina: una questione di mare

Le tensioni contemporanee tra USA e Cina dimostrano la centralità dell’elemento marittimo nelle strategie delle due grandi potenze mondiali.

 

 

Le migliori tesi geopolitiche sono quelle che invecchiano bene e che nel corso della storia continuano a trovare conferme di quanto postulato decenni prima. Nel 1890 l’Ammiraglio della US Navy Alfred Mahan pubblicava The Influence Of Sea Power Upon History, un’opera che ha ideologicamente ispirato il Secolo Americano proiettando le strategie USA in una logica “talassocratica”. Prendendo come punto di riferimento il dominio mondiale della flotta britannica tra ‘700 e ‘800, gli Stati Uniti di Mahan hanno dato il via ad un espansionismo imperialista declinato nella duplice forma del controllo militare e dell’influenza economica, un dominio dispiegatosi sugli oceani e riassumibile nel concetto di sea-power.

Gli oceani costituiscono il 70% della superficie terrestre e formano una via di comunicazione pressoché ininterrotta con tutto il globo. Come scriveva Mahan, possedere una costa rappresenta un vantaggio strategico difensivo che la frontiera terrestre non può garantire; il commercio via mare è inoltre il più semplice e il meno costoso. Per diventare una super potenza è indispensabile controllare tutta la superficie marittima? No, è possibile costruire un’influenza egemonica conquistando il controllo di minime porzioni di mare. I punti più importanti al mondo sono i “Choke Points”, anche detti “colli di bottiglia”; essi sono gli stretti e i canali marittimi più importanti dal punto di vista strategico. Pensiamo ad esempio allo Stretto di Hormuz tra Oman e Iran, 30 chilometri di mare nel Golfo Persico in cui passa il 40% dell’export mondiale di petrolio, oppure il Canale di Suez il cui blocco nel marzo 2021 ha ridimensionato i flussi commerciali transoceanici del 13%, comportando una perdita di 10 mld di dollari del commercio mondiale.

 

 

 

Le tensioni e i conflitti dell’oggi possono essere letti anche grazie al concetto di sea-power per poi essere interpretati in chiave militarista, economica e securitaria. Leggendo le National Security Strategy degli ultimi tre Presidenti USA, troviamo come obiettivo di prima fascia la volontà di tenere l’Indo-Pacifico uno spazio oceanico “aperto” agli scambi commerciali americani. Ciò che accomuna indiscriminatamente le Amministrazioni Obama, Trump e Biden è l’individuazione dell’area indo-pacifica come principale spazio vitale per gli interessi americani.
L’avversario principale degli USA nell’area non può che essere la Cina, potenza egemonica regionale con aspirazioni mondiali. In questa sfida Pechino può contare sulle proprie risorse economiche che, secondo gli stessi analisti USA, permetteranno alla Cina di superare la presenza navale americana nel giro di pochi decenni, consegnando nelle mani della potenza asiatica la flotta più numerosa mai vista. Se il potenziale economico cinese sembra insuperabile, sono ancora diverse le ragioni che permettono agli Stati Uniti di occupare ad oggi una posizione di vantaggio; qui l’elemento marittimo gioca ancora una volta un ruolo da padrone.

 

 

 

Nell’ultimo secolo di storia gli Stati Uniti sono riusciti a plasmare il contesto internazionale che ha assunto sempre di più la forma di un mondo unipolare a guida americana. Ciò ha permesso a Washington di guadagnare molti alleati e di conquistare avamposti chiave nel mondo. In tal senso, si pensi all’importanza strategica che ha avuto nella Seconda Guerra Mondiale l’isola di Guam, territorio statunitense nel Pacifico Occidentale che ospita la Andersen Air Force Base dell’aviazione USA. Questo piccolo esempio chiarisce meglio anche la condizione di Taiwan nel Mar Cinese Meridionale: se la Cina vuole sfidare l’unipolarismo americano deve dispiegare la propria proiezione marittima ed uscire dall’attuale accerchiamento che alleati americani, vedi Giappone e Corea del Sud, e avamposti statunitensi hanno costruito nella sua area di prossimità marittima. Sembra quindi che si stiano creando le condizioni affinché nel prossimo futuro si avveri la teoria sullo scontro di civiltà del famoso politologo Samuel P. Huntington: la battaglia tra Occidente e Cina avverrà nel Mar Cinese Meridionale (Huntington S.P., The Clash Of Civilizations And The Remaking Of World Order, 1996).

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