Un Premio Nobel per la Pace pronto a dichiarare guerra: il caso dell’Etiopia

Nelle ultime settimane sembrerebbero essersi riaccese le dispute territoriali fra Etiopia ed Eritrea; stavolta però la colpa potrebbe essere di un Premio Nobel.

 

 

La questione della territorialità fra Eritrea ed Etiopia è una delle principali questioni politiche a tenere banco nella regione del Corno d’Africa; nel 1993 infatti l’indipendenza dell’Eritrea dallo Stato etiope ha privato quest’ultimo di un accesso al Mar Rosso, elemento cruciale sino a quel momento per Addis Abeba sia dal punto di vista commerciale che dal punto di vista infrastrutturale.

Attualmente l’Etiopia è quasi completamente dipendente dal vicino Stato del Gibuti per i suoi movimenti commerciali, sia in entrata che in uscita: l’85% delle importazioni e delle esportazioni di prodotti finiti e materie prime dello Stato etiope passano fisicamente per il Gibuti. Quest’ultimo, la cui grandezza è inversamente proporzionale al suo valore strategico, vista la sua posizione privilegiata sul Golfo di Aden, rappresenta uno degli snodi principali del commercio mondiale.

In una delle ultime sedute del Parlamento etiope, il Presidente Abiy Ahmed ha presentato un documento intitolato “L’interesse nazionale dell’Etiopia: principi e contenuti”, in cui manifesta esplicitamente l’urgenza per il suo Paese di ottenere un accesso al mare e, successivamente, di costruire un porto commerciale in grado di soddisfare le necessità economiche dell’Etiopia.

 

 

In una recente intervista ad Al Jazeera English il Primo Ministro etiope ha affermato che la necessità per il suo Paese di ottenere un accesso al mare verrà perseguita inizialmente attraverso mezzi diplomatico-economici; laddove però questi dovessero fallire non esclude la possibilità di perseguire tale scopo anche attraverso mezzi militari.

A preoccuparsi maggiormente di questa situazione è proprio l’Eritrea, posseditrice dagli anni ’90 dell’ex porto etiope di Massaua, il porto naturale più profondo dell’area del Mar Rosso, e rivale storica regionale di Addis Abeba; le relazioni fra i due Paesi infatti non sono mai state idilliache, tant’è che nei primi anni duemila si arrivò tragicamente ad un conflitto militare.

I rapporti fra i due Stati del Corno sembravano essersi distesi nel 2019, anno in cui il Presidente Abiy Ahmed è stato insignito del Premio Nobel per la Pace proprio per il suo impegno nel voler risolvere le tensioni fra i due Stati; la collaborazione militare che ha coinvolto i due Paesi durante la ribellione del Tigray sembrava essere il suggellamento di tale distensione.

I risultati raggiunti sembrano però essere andati in fumo dal momento che l’Etiopia sembra non voler essere tagliata fuori dall’enorme mole di fondi che Pechino sta destinando, attraverso degli investimenti statali, allo sviluppo di varie infrastrutture commerciali in Africa e più nello specifico nella regione del Corno, infrastrutture utili all’attuazione del suo progetto Nuove Vie della Seta; Addis Abeba al momento non ha nulla da offrire in termini di infrastrutture strategiche, e quel suo ex porto di Massaua sarebbe un hub perfetto per attrarre gli investimenti cinesi.

 

 

La sensazione è che probabilmente il Premio Nobel per la pace del 2019 non sia tanto intenzionato a mantenere vivo il ricordo della sua transizione pacifista; l’area è infatti di per sé molto instabile, e la presenza delle truppe eritree in territorio etiope a causa dei ribelli del Tigray ancora attivi rende la situazione precaria dal punto di vista diplomatico.

Il Corno d’Africa potrebbe essere nuovamente il teatro di una sanguinosa lotta territoriale in seno alle Nazioni che lo compongono. Siamo probabilmente di fronte al risultato di un’era post-colonialista gestita malamente dalle ex potenze coloniali europee, all’epoca forse ancora troppo preoccupate di mantenere saldi i propri interessi nell’area, piuttosto che tutelare quelli delle popolazioni locali attraverso accordi e divisioni territoriali congrue allo stato etnico-culturale e sociale di quella regione.

Certamente il Primo Ministro etiope non verrà ricandidato al Premio Nobel per la pace; speriamo però che questo dipenderà solo dalle sue affermazioni passate e non dalle sue azioni future.

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