Paradossi temporali e misteriosi trasferimenti di coscienza rendono Travelers una serie piacevole da vedere ma non esente da difetti.
Il tema dei paradossi temporali è qualcosa di difficile gestione. Se il viaggio nel tempo è possibile, le linee temporali inizierebbero ad incrociarsi creando infiniti mondi – qualcosa che a pensarci farebbe esplodere il cervello. Già in passato ci siamo occupati di fiction che trattano il tema, parlando della buona serie tedesca Dark (concordo con il nostro MarcoF: è molto valida ma difficile da seguire).
Travelers affronta il tema in chiave molto più leggera ed è orientata all’azione, come spesso accade per le produzioni d’oltreoceano.
Uscita fra il 2016 ed il 2018, Travelers conta 34 puntate divise in tre stagioni. Seguiremo le gesta di un gruppo di viaggiatori che dovranno compiere delle missioni nel nostro tempo per conto di un fantomatico Direttore; il loro fine non è subito chiaro, e questo fa parte del fitto alone di mistero che pervade inizialmente la storia e che non viene mai completamente dissolto (garantendo, d’altra parte, un certo grado di “vale tutto” andando più in là con le puntate).
Non ci troviamo di fronte ad un capolavoro di fantascienza, ma Travelers è una serie solida che non dispiace. La storia di fondo è ben strutturata ed è l’elemento portante che tiene a galla la serie anche in quei momenti in cui gira a vuoto; ma il più delle volte non ci sono grossi problemi di sceneggiatura, se non particolari passaggi in specifiche puntate.
Le tre stagioni hanno tratti distintivi che le distinguono fortemente: la prima è piuttosto anonima (ma non brutta), incentrata sull’azione pura e sulla conoscenza dei protagonisti. Nella seconda, grazie anche ad un colpo di scena sul finire della stagione precedente, che per certi versi mi ha ricordato Evangelion (e no, non ci si avvicina nemmeno lontanamente al capolavoro di Hideaki Anno), la trama si infittisce e i toni cominciano ad assumere quelli di una storia di spessore. Unico appunto, la necessità saltuaria di sdoganare idee e comportamenti di parte (la solita ideologia che deve essere per forza messa dappertutto). Nella terza serie questo aspetto viene accantonato, ed arriviamo alla fine senza nemmeno rendercene conto; l’inserimento di brani di musica classica contrasta con gli eventi che iniziano a susseguirsi a ritmo serrato, qualcosa che ricorda nuovamente Evangelion.
Durante tutta la produzione gli effetti speciali sono tenuti al minimo, e questo non può che far bene quando si cerca di dare peso alla storia e non all’aspetto visivo. Anche gli attori contribuiscono a dare credibilità alla serie, a partire da Jared Abrahamson e Reilly Dolman che aggiungono profondità al racconto. Buono Eric McCormack, mentre MacKenzie Porter e Patrick Gilmore donano un tocco di romanticismo ben inserito. Divertentissimo peraltro Gilmore nell’interpretare un omone grande e grosso ma totalmente insicuro; parimenti divertente è Jennifer Spence nei panni di una scienziata priva di empatia col prossimo. Sotto la media invece Nesta Cooper e J. Alex Brinson: un “tattico” completamente dominato da impulsi poco lungimiranti il primo e un poliziotto cattivo e stupido il secondo, con un grugno che ricorda certe espressioni forzate del Libanese di Romanzo Criminale – La Serie.
Travelers è una serie buona per prendersi una pausa da storie più serie o che richiedano un’attenzione maggiore; infatti nonostante la tematica presenti possibili intrecci di difficile gestione, tutto scorre abbastanza linearmente.
Non vi aspettate qualcosa che possa passare agli annali della storia, ma il suo compito lo svolge degnamente e porta con successo a casa la pagnotta.