In un mondo dominato da ideologie radicali, ci si scorda una regola base: se sei a cavallo di due categorie, devi gareggiare in quella superiore.
Il caso del pugile algerino ufficialmente di sesso femminile ma dai tratti, dalla muscolatura e dai cromosomi maschili che partecipa alle Olimpiadi di Parigi ma escluso dai precedenti Mondiali per i livelli di testosterone troppo alti (e non è il solo in analoghe condizioni, sempre nel pugilato partecipa il/la taiwanese Lin Yu-Ting), sta in questi giorni tenendo banco e suscitando le ennesime polemiche fra chi, da una parte, vorrebbe delle regole certe nello sport e, dall’altra parte, chi fa dell’inclusività e della fluidità sessuale l’unico dogma da seguire ciecamente.
Il problema non si porrebbe se semplicemente gli organi sportivi, come quelli decisionali in altri rami della vita di tutti i giorni, utilizzazzero la logica. E la logica (oltre che una consuetudine centenaria nello sport) non può non evidenziare una soluzione lampante ed immediata per chiunque abbia un paio di neuroni funzionanti: se hai superato il tetto per competere in una data categoria, andrai a gareggiare in quella superiore.
Vogliamo fare degli esempi ad uso e consumo di chi questo concetto proprio non lo capisce? Prendiamo il caso delle categorie Open dei campionati nazionali di motociclismo. Si chiamano “open” perchè si può iscrivere qualsiasi moto, a prescindere da modello, età, tipo, cilindrata, cavalli. Ma, per avere delle gare equilibrate, le iscrizioni vengono suddivise per categorie; e tanto per farla semplice, se esiste una categora per moto di cilindrata 600cc e una per 1000cc, se hai una moto 750cc non puoi gareggiare con le moto 600: parteciperai con le 1000, perchè sarebbe ingiusto penalizzare chi ha un 600.
Altro esempio, proprio tipico del pugilato: se pesi un solo chilo in più rispetto al limite della tua categoria, combatterai in quella superiore. Semplice e lineare.
In entrambi i casi sopra descritti, si utilizzano logica e buonsenso: si traccia una linea oltrepassata la quale scatta il passaggio alla categoria superiore.
La categorizzazione degli sport in competizioni maschili e femminili è qualcosa che si è fatto per mettere tutti gli atleti sullo stesso piano, per fornire a chiunque una base di partenza equa ed imparziale. Negli anni ’70 ed ’80 il mondo occidentale si scandalizzava (giustamente) per la presenza di atlete fortemente androgine nelle competizioni internazionali; atlete proventienti dai Paesi del Patto di Varsavia, che in tempo di guerra fredda avrebbero fatto di tutto per esaltare la propria grandezza. Di fatto, a vincere le medaglie erano persone dal passaporto in regola ma coi baffi, la barba ed una voce da uomo.
Oggi paradossalmente la questione sembra ribaltata: i Paesi occidentali, spesso governati da esponenti che incarnano il pensiero di inclusività e fluidità a tutti i costi, vogliono eliminare qualsiasi differenziazione logica e naturale, ed i Paesi dell’ex blocco sovietico non transigono sulla naturale diversità biologica fra uomo e donna.
Non è la prima volta che ci si trova in una situazione del genere: nel 2020 la sollevatrice di pesi Laurel Hubbard ha partecipato alle Olimpiadi nel sollevamento pesi; nello stesso evento il non-binario Quinn ha vinto la medaglia d’oro nel calcio (Canada). Addirittura pochi mesi fa, 24 atlete della National Collegiate Athletic Association (NCAA) statunitense hanno fatto causa all’associazione per averle fatte competere contro atleti transgender; proprio l’NCAA permise a Lia Thomas di competere nello stile libero, vicendo a mani basse. Dopo aver completato la transizione sessuale, i suoi tempi si sono alzati di 15 secondi.
Per tutelare tutti basterebbe l’introduzione di una categoria mista, dove far confluire gli atleti intersex, in transizione, i non-binari, gli indecisi e tutte quelle tipologie che, con semplicità ed immediatezza fino a poco tempo fa potevamo chiamare, senza commettere reato di lesa maestà, trans.
Purtroppo però lo sport, specialmente nei suoi eventi principali come le Olimpiadi, è diventato semplicemente un business a fine di lucro ed un terreno di scontro politico-ideologico. L’onestà ed il rispetto, che dovrebbero essere il substrato fondamentale di ogni competizione sportiva, sono praticamente scomparsi, e ne rimane qualche traccia solo negli sport che non muovono grandi flussi di denaro e solo quando gli eventi sono a bassa visibilità.
È il segno dei tempi: e non si può certo dire che i nostri siano i più virtuosi e morali.