Time Cut: la recensione

Prendete Ritorno al Futuro, mischiatelo con un pizzico di Scream e tornate indietro fino al duemila! Sì, è imbarazzante, eppure…

 

Time Cut recensione

 

L’idea di base di Time Cut, film horror dal forte sapore adolescenziale, è quello di rubare senza grandi misteri ai capisaldi del genere per creare qualcosa di nuovo che sia molto più leggero. Diciamo che il cocktail della regista Hannah MacPherson parte da un Martini on the rocks ma arriva alla bocca dello spettatore come un tè annacquato. Restando in metafora, il ghiaccio di questo lungometraggio è che non fa paura neanche per un secondo; bisogna ammettere, però, che si lascia guardare fino alla fine senza crampi allo stomaco o botte di sonno.

Ciò che tocca il sistema nervoso del pubblico più adulto è che si parla di viaggi nel tempo come quelli di Marty McFly ma negli anni duemila (!!!)… Cioè ieri. Eppure, per i giovanissimi, target a cui ci si rivolge senza nascondersi, è un periodo lontano e tutto da scoprire.
Per farvi riprendere dall’attacco cardiaco con cui state combattendo, vi raccontiamo la parte migliore della piccola, la storia: la liceale Lucy Field (interpretata da Madison Bailey) si ritrova per caso spedita dal suo 2024 al “lontanissimo” 2003 imbattendosi in una macchina del tempo realistica come le astronavi della prima stagione di Star Trek. L’occasione è ideale per impedire a un misterioso assassino di uccidere sua sorella maggiore Summer (che ha il volto assai apprezzato di Antonia Gentry), strappata brutalmente alla vita appunto dieci anni prima.

Lo sviluppo della trama è accettabile; qualche botto di capodanno, un paio di morti cruente e indagini che si sviluppano inquadratura dopo inquadratura. Il finale (no spoiler) è l’unico colpo di scena che si possa definire tale e giustifica quello che è un horror da divano. Al cinema avreste gridato allo scandalo ma, sotto le calde copertine di casa, si tratta di novanta minuti più che affrontabili. Il resto è fuffa e scopiazzatura brutta. C’è la trilogia di Zemeckis ma c’è anche tanto Scream, non ultima la maschera del cattivissimo serial killer che fa quasi sbadigliare. Eppure c’è addirittura una seconda ragione per considerare mediamente alto il voto finale di Time Cut.

 

Time Cut recensione

 

Le musiche scelte per raccontare gli anni duemila sono quelle degli anni duemila; concetto didascalico ma dannatamente efficace per i nostalgici di un periodo che per molti adulti di oggi ha coinciso col mondo ovattato dell’università e della spensierata giovinezza. Vanessa Carlton, Wheatus e, soprattutto, l’Avril Lavigne di “Complicated”; un bel salto indietro considerando che ora la cantante canadese è in tour nei centri geriatrici di tutto il mondo. Anche la moda del decennio è ben riprodotta e rappresenta, lei sì, un ottimo elemento horror di paura e sgomento. Davvero ci pettinavamo così? Sul serio indossavamo quei pantaloni improbabili?

Resta agli atti che, con grande buon gusto della produzione, non è previsto alcun sequel del film e che il montaggio è abbastanza ritmato da non fare in tempo a chiamare uno studio legale per intentare causa a Netflix, dove il titolo è disponibile.

Se avete voglia di immergervi in un bignami di quel che più vi piace al cinema insieme ai vostri bambini, questa è la visione perfetta. Fa più paura la barzelletta del fantasma formaggino ma è sempre meglio che scivolare sulla banalità di certe commedie italiane alla Flaminia sempre uguali a loro stesse.

 

Time Cut, 2024
Voto: 7
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