The Turing Test: la recensione

Un puzzle game piuttosto semplice e dall’anima non eccessivamente ammaliatrice, The Turing Test mi ha lasciato decisamente indifferente.

 

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Tanti anni fa fui sorprendentemente colpito da Portal, un gioco in cui dovevamo procedere di stanza in stanza risolvendo dei puzzle che ci permettessero di raggiungere le uscite. Fondamentale era l’uso di una pistola che apriva dei portali (da qui il nome del gioco); con un po’ di logica e qualche favorevole intuizione anche un cervellino poco allenato a questo tipo di gioco poteva cavarsela. Inoltre Portal era condito di una buona dose di ironia, con un computer che tentava di rassicurarci (malissimo) sul perfetto andamento dell’esperimento.

The Turing Test sembra una copia mal riuscita del gioco descritto appena sopra; le differenze si trovano nella mancanza di portali e nella mancanza di ironia, sostituita (si vorrebbe) dal pathos.
Ma vediamo nel dettaglio.

 

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Ci troviamo a bordo di una astronave in orbita su Marte, e dovremo scendere sulla superficie per capire cosa e’ successo alla squadra di terra, che ha smesso di essere raggiungibile. Una volta entrati nella base sotterranea ci attende una voce computerizzata che ci guidera’ nel corso dell’esplorazione.

In The Turing Test sono molte le cose che non quadrano. Intanto, nonostante la spiegazione che ci viene data, lo spazio occupato dalla base sotterranea e’ impressionante ed irreale sia per dimensione sia, soprattutto, per lo spreco di spazio e di energia. Anche se si vuol prendere per buono quel che ci dice la storia, ad un certo punto e’ inevitabile chiedersi il perche’ dell’enormita’ di certe realizzazioni. Ma questo e’ un punto che inficia solo sulla storia di fondo.
Piu’ marcato e’ il problema legato alla ripetitivita’ degli enigmi da affrontare; occorre eseguire nel giusto ordine le azioni che ci consentono di superare porte, attivare meccanismi e raggiungere l’uscita della stanza. Per farlo abbiamo a disposizione scatolotti elettrici, leve e una pistola in grado di raccogliere fino a 3 globi energetici per poi riposizionarli, anche a distanza.

 

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La meccanica di gioco e’ tutta qui, ed e’ piuttosto semplice; la componente aggiuntiva del saltare/muoversi a tempo e’ quasi completamente assente, facendoci concentrare sul posizionamento dei globi e degli scatolotti elettrici.
A farci compagnia per tutto il gioco e’ la voce del computer che gestisce la base, che dovrebbe essere inquietante e preoccupante ma i cui dialoghi risultano spesso essere privi di interesse.

I retroscena ci vengono spiegati in modo tutto sommato convincente; peccato che a molti di questi pezzi aggiuntivi ed interessanti della storia si acceda solo attraverso aree semi-segrete la cui funzione si capisce bene solo andando avanti col gioco. La scelta quindi di bloccare l’accesso alle zone superate ci impedisce di riaccedere a quei punti in cui il non aver risolto il puzzle ci ha precluso di accedere ai dettagli della storia.

Buona parte della storia si spiega ascoltando gli audio-file recuperabili proprio in queste zone; gli sviluppatori hanno deciso di rendere la vita complicata anche a chi riuscisse ad accedervi, e non perche’ serva qualche combinazione particolare per usarli, ma perche’ sono in un inglese-americano a volte poco comprensibile e spesso trattati attraverso dei filtri per simulare le conversazioni radio o catturate all’interno della base (da microfoni degni dei mangiacassette degli anni ’80).
Incomprensibile quindi la scelta di realizzare dei sottotitoli in inglese per i dialoghi tra la protagonista che impersoniamo ed il computer e non per questi audio-file.

 

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Altra cosa assurda e’ che e’ possibile rimappare i tasti ma i tasti cursore sinistra e destra non permettono altro che girare su se stessi. Una vera follia, incomprensibile, e che obbliga i mancini a trovare altre soluzioni (io e me la sono cavata con i 6 tasti sopra quelli freccia).

Il gioco provoca anche una forma di motion sickness, come i piu’ vecchi Borderlands, Hard Reset e The Vanishing of Ethan Carter; sono riuscito a risolvere diminuendo la sensibilita’ del mouse, disabilitando il motion blur e attivando il cursore sullo schermo.

Quanto detto finora descrive quello che sembra essere un brutto gioco; e invece The Turing Test non e’ cosi’ malaccio. Se lo si gioca senza particolari aspettative, senza voler fare paragoni e prendendolo come un passatempo (due-tre stanze a sessione come riempitivo fra un gioco e l’altro), riesce anche a divertire; per chi come me non e’ fortissimo nei puzzle game riuscire ad aprire le porte ed arrivare nelle sezioni successive e’ certamente appagante.

 

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La grafica e’ ben realizzata e fluida (anche perche’ c’e’ poco da disegnare, quindi lo sviluppo dei modelli non ha richiesto eccessivi sforzi), le musiche sono invece pressoche’ assenti. Gli effetti sonori sono adatti allo scopo e anche se aiutano ad immergersi nel gioco non fanno certo gridare al miracolo.

The Turing Test e’ un gioco che probabilmente, in qualche modo, tutto sommato porta a casa la pagnotta ma che certo non puo’ tentare di impensierire Portal o altri giochi del genere (vedi Antichamber); non e’ molto difficile e quindi ha un target ben preciso di giocatori (quelli hardcore lo troveranno troppo facile). Se lo volete prendere considerate che non penso ci si debba spendere piu’ di 5 euro, quindi aspettate saldi oppure offerte.

 

The Turing Test, 2016
Voto: 6
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