Non ci siamo. Se vuoi fare una miniserie sulla guerra, la devi fare bene, sennò tutto quello che hai in testa di buono va a farsi benedire.
The Long Road Home è una miniserie in 8 puntate ambientata nel 2004, durante l’attacco USA a Sadr City; un gruppo di marines si addentra all’interno del centro abitato per cercare di catturare dei personaggi di alto profilo ma rimane intrappolato da un accerchiamento di lealisti di Saddam Hussein.
Creata con l’idea di raccontare un fatto realmente accaduto, la realizzazione è scadente. A partire dalla scelta del cast: quelle che dovrebbero essere delle temibili macchine da guerra sembrano un gruppo di ragazzini spauriti. Il protagonista stesso, Michael Kelly, è il ritratto dell’impiegatuccio medio invece che del comandante di squadra dai nervi saldi che dovrebbe rappresentare. Non è un caso se di lui non c’è traccia nella cinematografia che conta.
Ma cos’è che non va in The Long Road Home? Fondamentalmente è una serie che non decolla mai. Nonostante gli scontri a fuoco, non si sente affatto il pathos, la tensione, l’adrenalina che dovrebbe pervadere una serie di guerra. Solo in brevi momenti qualcosa arriva (soprattutto nel finale) ma è veramente troppo poco per appassionare.
Due sono i registi della serie, entrambi specializzati nelle serie; la maggior parte delle puntate sono dirette da Phil Abraham, mentre le due gestite da Mikael Salomon sembrano essere quelle dal taglio più interessante (non è un caso se ha diretto anche due puntate di Band of Brothers). Rimane comunque un certo distacco tra lo spettatore e quando si vede nel piccolo schermo, e non è mai una cosa piacevole.
La rappresentazione degli scontri non è da far gridare al miracolo ma non è nemmeno pessima come in altre produzioni; si tratta sempre comunque di ingaggi dal numero ristretto di persone, in ambiente urbano, e non ci sono particolari effetti speciali. Gli stessi scontri a fuoco ricoprono una parte piuttosto secondaria nel contesto della serie.
The Long Road Home è stata una serie su cui si è fatta molta pubblicità ma che si è risolta in un mezzo buco nell’acqua. Non è proprio brutta, ma lascia un senso di insoddisfazione ed incompletezza che non dovrebbe esserci. Se volete per forza vedere una serie sull’Irak, meglio Generation Kill (non un capolavoro, ma sicuramente divertente) o se non disdegnate la seconda guerra mondiale tuffarvi in quel mostro sacro che è Band of Brothers.