Telelavoro e smart working: un’occasione sprecata?

Sembra che quanto dimostrato durante la pandemia non abbia colto l’interesse dei dirigenti: eppure i vantaggi del lavoro remoto sono numerosi, e non solo per il dipendente.

 

 

Da qualche tempo, la pubblica amministrazione ha imposto ai suoi dipendenti di tornare a lavorare esclusivamente in presenza, e anche nel privato sono molte le aziende che hanno applicato una stretta anche piuttosto forte sul lavoro da casa. Nei mesi immediatamente seguenti la pandemia di Covid-19 però, lo smart working (o più precisamente il telelavoro) sembrava però aver preso solidamente piede, tanto che alcuni esperti avevano azzardato ipotesi sul fatto che non si sarebbe più tornati in ufficio. Cosa è successo nel frattempo?

Intanto è necessario premettere che il lavoro da casa non ha mai coinvolto tutta quella fascia di persone impiegate in attività legate ad un luogo fisico, che per forza di cose hanno dovuto riprendere il loro lavoro in presenza appena i divieti di circolazione più ferrei sono stati revocati.
Un’altra importante precisazione è relativa alla differenza tra smart working (orari flessibili, successo nel lavoro legato ad obiettivi specifici) e telelavoro (espletare senza modifiche le attività tipicamente svolte in ufficio in un altro luogo scelto dal dipendente); quest’ultima è la forma di lavoro da remoto adottata nel nostro Paese dal 2020.
Ed è qui che casca l’asino.

Il lavoro in Italia, nel pubblico come nelle grandi aziende, è quasi sempre organizzato in modo vecchio e statico, non guidato da modi di lavorare “smart”, ovverosia intelligenti: scendendo lungo la catena di comando, gli obiettivi si perdono di vista o non vengono proprio stabiliti, rendendo il lavoro una questione di quantità prima che di qualità. Negli ambiti dove i lavoratori sono meno motivati, al netto di una percentuale di scansafatiche presente ma meno incisiva di quel che si possa credere, la mancanza di qualità spesso è causa di una carenza professionale dei dirigenti e dall’assenza di riconoscimenti nei confronti dei lavoratori meritevoli, con un conseguente abbattimento del tasso di produttività. L’unico modo che i dirigenti meno competenti hanno per tenere quindi sotto controllo i propri dipendenti è di riportarli alla stalla, come bestiame incapace di gestirsi o produrre per quanto previsto.

 

 

Riportare tutti in ufficio non risolve però il problema, anzi lo acuisce ora che i lavoratori hanno assaporato la libertà e i vantaggi del telelavoro; vantaggi che spaziano dal non dover affrontare il traffico, con conseguente risparmio sui costi di trasporto e un maggior tempo libero a disposizione, alla migliore e più economica alimentazione casalinga che può venire incontro non solo a chi soffre di allergie ma anche chi vuole tenere sotto controllo la propria salute ed il proprio peso, fino alla possibilità di gestire più facilmente situazioni familiari gravose (che si tratti di accudire disabili o gestire i figli) o poter fare sport durante la pausa pranzo.

Il lavoro di ufficio è perfettamente compatibile con il telelavoro; bastano piccoli accorgimenti di buon senso per ottenere risultati più che positivi non solo per il lavoratore ma anche per il datore di lavoro, che non va dimenticato essere colui che il lavoro lo offre, ci mette i soldi e legittimamente pretende risultati.
Intanto il telelavoro o smart working che sia non deve essere considerato un diritto, ma una possibilità revocabile, un previlegio eventualmente esteso ad libitum dal datore di lavoro in seguito al conseguimento da parte del lavoratore di obiettivi ben precisi e comunemente stabiliti in precedenza. Poter valutare la resa del lavoro, che si tratti del numero di pratiche processate con successo o lo stato di avanzamento di un progetto, è il cardine di un accordo che deve anche tenere conto della necessità di un gruppo di lavoro di incontrarsi fisicamente di tanto in tanto per mantenere vivo il legame professionale fra colleghi.

Dall’altra parte occorre stabilire (o ricordare) gli orari di lavoro onde evitare assenze inaspettate durante il giorno o riunioni messe ad ora di pranzo o nel tardo pomeriggio; così come deve essere rimarcata la netta separazione tra orario di lavoro e vita privata per non ottenere un effetto psicologicamente devastante sul lavoratore, che nei fatti rischia di non staccare mai la mente dagli impegni lavorativi.

 

 

Il telelavoro ha anche impatti sull’ambiente e sull’economia: positivi quando di parla di una riduzione dell’inquinamento dovuto al numero sensibilmente inferiore di veicoli circolanti ed ai tempi di spostamento più brevi, dei soldi risparmiati dal lavoratore per i motivi visti sopra (in un periodo storico di rincari anche a doppie cifre percentuali), fino ad un possibile calo del prezzo dei carburanti vista la minore domanda; negativi quando si pensa all’indotto del’affitto dei palazzi o appartamenti destinati ad uso ufficio e della ristorazione, già andata drammaticamente in crisi nei mesi di lockdown (ma in tutta onestà la troppa presenza sul mercato di mense e bar non fa altro che diminuire il numero di clienti per attività e fornire cibi di qualità talvolta discutibile senza necessariamente abbassare i prezzi), o al benessere del lavoratore che tende a restare seduto tutto il giorno, indebolendo il proprio sistema muscolo-scheletrico.

Il giusto compromesso casa lavoro è probabilmente la presenza in ufficio una o massimo due volte a settimana, sempre tenendo conto delle necessità contingenti del proprio gruppo di lavoro. Occorre flessibilità da entrambi le parti, ma non si può negare il fatto che un lavoratore contento è un lavoratore che lavora meglio e che è probabilmente pronto a fare un passo in più nei confronti di un datore di lavoro che offre una possibilità non scontata; e quindi concedere il lavoro remoto all fine è un vantaggio per tutti.

C’è un ultimo punto da tenere in considerazione. Le leggi sul lavoro in Italia non sono affatto equilibrate, ed impediscono il più delle volte di intraprendere azioni disciplinari o di procedere al licenziamento di dipendenti palesemente inaffidabili, dolosamente improduttivi o addirittura infedeli. Fino a quando questo nodo non verrà risolto, rendendo il datore di lavoro schiavo dei suoi dipendenti, è comprensibile la ritrosia a concedere il lavoro remoto. Probabilmente la soluzione migliore è ancora quella di una valutazione caso per caso, sperando in un cambio generale di mentalità verso un atteggiamento più onesto e rispettoso nell’intera classe lavorativa italiana.

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