SPR e riserve petrolifere mondiali: sono ancora la chiave del potere?

Qual è l’importanza strategica delle riserve petrolifere e perché gli Stati Uniti stanno riducendo le proprie riserve di greggio ai minimi storici?

 


 

Le riserve petrolifere sono da sempre un elemento strategico di estrema importanza. In tempi di pace, ma ancor più in tempi di guerra, una scorta di petrolio è quella che può fare la differenza tra la sopravvivenza di uno Stato e la sua debacle. Perchè gli USA stanno invertendo questa tendenza? Vediamo insieme la questione nel dettaglio.

 

Cos’è la SPR?

La Strategic Petroleum Reserve è una scorta di petrolio di emergenza istituita nel 1973 dal governo statunitense in risposta all’embargo petrolifero avviato dall’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio). Si tratta di uno degli strumenti di politica americana messi in campo per salvaguardare l’indipendenza energetica degli Stati Uniti allo scopo di mitigare gli effetti di una eventuale interruzione delle forniture di petrolio dall’estero dovuta al verificarsi di eventi straordinari quali crisi, conflitti o emergenze in grado di minacciarne l’approvvigionamento. La crisi petrolifera degli anni ’70, infatti, ha incrementato notevolmente il prezzo del petrolio e la conseguente carenza di carburante ha colpito duramente l’economia americana, evidenziandone la dipendenza da fonti di approvvigionamento esterne.

 

Dove si trova la SPR e come si utilizza?

Le riserve strategiche si trovano all’interno di caverne di sale sotterranee sulla costa del Golfo del Messico, luoghi che offrono un ambiente sicuro e stabile per l’immagazzinamento del petrolio. Da questa posizione strategica è possibile rifornire quasi la metà delle raffinerie degli Stati Uniti attraverso oleodotti che attraversano tutto il paese.
Attualmente, l’SPR è composta da quattro siti di stoccaggio situati lungo la costa del Golfo del Texas e della Louisiana; la sua capacità di stoccaggio, pari a oltre 700 milioni di barili, la rende ad oggi una delle riserve di petrolio più grandi al mondo. Per garantirne il corretto funzionamento, l’SPR viene periodicamente sottoposta a manutenzione e test circa le sue capacità di conservazione del petrolio per assicurarsi che sia sempre prontamente disponibile in caso di necessità. Le modalità di utilizzo dell’SPR sono definite nell’Energy Policy and Conservation Act. Il presidente degli Stati Uniti, previo parere del Segretario dell’Energia e del Consiglio di Sicurezza Nazionale, può ordinare un prelievo completo in caso di una carenza energetica tale da minare la sicurezza nazionale o l’economia o un prelievo limitato di meno di 30 milioni di barili in caso di significativa carenza. Il Segretario all’Energia, invece, può effettuare prelievi di prova inferiori a 5 milioni di barili.

 

 

L’SPR è ancora necessaria oggi?

Nonostante il ruolo cruciale che l’SPR ha svolto negli anni, ci si chiede ad oggi quale sia il suo futuro. Di recente le riserve strategiche di petrolio detenute dagli Stati Uniti sono scese a 17 giorni di fornitura, il livello più basso degli ultimi 33 anni. Sicuramente l’incremento del prezzo del petrolio con la guerra in Ucraina, i tagli alla produzione imposti dall’OPEC ed una politica energetica americana che privilegia il gas naturale rispetto all’oro nero hanno comportato una massiccia vendita delle riserve strategiche. Le nuove dinamiche di mercato e le politiche di transizione energetica verso fonti di energia rinnovabili e più sostenibili riducono la necessità di mantenere riserve strategiche con così ampie dimensioni e capacità, a fronte di costi di utilizzo e di mantenimento elevati.

Tuttavia, sebbene il loro destino rimanga ancora oggetto di dibattito, il valore strategico di queste riserve rimane innegabile. Infatti, nonostante il ricorso sempre maggiore a fonti di energia alternative, l’economia globale si erge ancora intorno ai combustibili fossili. I piani di espansione dell’industria di questo settore prevedono l’avvio di 195 progetti di estrazione tra Cina, Canada e Australia, portati avanti dalle cosiddette NOC (National Oil Company); ovvero i colossi statali, i quali, a differenza delle grandi società petrolifere quotate in borsa, non hanno l’obbligo di presentare bilanci dettagliati. Inoltre, il mancato reinvestimento degli utili da parte di queste grandi compagnie nella transizione energetica comporta sia un aumento dei costi del petrolio, che peseranno direttamente sul consumatore finale, sia un incremento delle emissioni in atmosfera.

C’è da notare che se i consumi continueranno ai ritmi attuali, le riserve del nostro pianeta saranno sufficienti per i prossimi 60 anni. Si ipotizza quindi che nel sottosuolo ci siano ancora circa 2 mila miliardi di barili di greggio; al momento l’Arabia Saudita è il secondo produttore mondiale, dopo gli Stati Uniti, con ben 11,5 milioni di barili al giorno. La riduzione delle riserve americane rappresenta ad ogni modo un grande segnale di inversione di rotta da parte degli USA che tuttavia, almeno ad oggi, non sono ancora in grado di garantire la propria indipendenza dal greggio: il petrolio rimane uno strumento cruciale di politica monetaria e le riserve strategiche dei Paesi le chiavi del potere nella grande scacchiera mondiale.

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