Serbia e Kosovo sono davvero sul piede di guerra?

Dopo settimane di tensioni i serbi hanno schierato l’esercito lungo il confine; nonostante ciò un conflitto sembrerebbe per adesso scongiurato.

 

 

I Balcani sono spesso considerati sinonimo di violenza a causa dei molteplici conflitti che hanno interessato la regione, conflitti ammantati da sempre di un sostrato etnico-religioso che ha rappresentato il casus belli delle sanguinose guerre dello scorso secolo. La disposizione delle varie comunità nell’intera area balcanica, caratterizzata da varie enclave etniche insediate a macchia di leopardo, è un potente conduttore di tensioni e un pretesto di pretese territoriali da parte dei vari Governi. Nei giorni scorsi il Presidente serbo Aleksandar Vucic ha ordinato al proprio esercito di schierarsi lungo i confini con il Kosovo e di prepararsi alla battaglia. Siamo all’alba di un nuovo conflitto balcanico?

Le motivazioni di tali tensioni sono secolari e disseminate lungo tutta la storia delle dominazioni balcaniche. La situazione attuale è scaturita dagli strascichi del conflitto del 1998-1999 e della decisione dei kosovari di autoproclamarsi indipendenti nel 2008. Nella Repubblica del Kosovo vivono principalmente cittadini di origine albanese ma i serbi costituiscono una minoranza piuttosto grande, con centomila abitanti concentrati principalmente nella regione settentrionale. Negli ultimi mesi la situazione è precipitata con la decisione del Governo kosovaro che intima ai possessori di autovetture con targa serba di adottare le targhe immatricolate dal Kosovo; una decisione che può sembrar banale ma che rappresenta una presa di posizione da parte di Pristina volta a legittimare la propria sovranità.

 

 

Fin da subito questa decisione ha provocato una reazione di Belgrado e di tutti i cittadini serbi del Kosovo. Lo scorso novembre i dipendenti statali di origine serba, più o meno seicento tra poliziotti e membri dell’apparato giudiziario, si sono dimessi in massa dalle loro cariche in segno di protesta. Questo apice di tensione è stato riportato ad un livello tollerabile grazie all’intervento mediatore degli Stati Uniti, che hanno sponsorizzato un accordo sulle targhe automobilistiche tra Serbia e Kosovo. La stabilità è però durata pochi giorni: l’arresto di un ex poliziotto serbo da parte delle autorità kosovare, avvenuto il 10 dicembre, ha fatto ripiombare la regione in una situazione allarmante. Attualmente sono in corso diversi blocchi stradali organizzati di propria iniziativa dai camionisti serbi e l’esercito di Belgrado è dispiegato lungo i confini pronto a muovere battaglia.

Se la Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Pristina negli ultimi anni l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno promosso due processi di normalizzazione che preludono ad una stabilizzazione dei rapporti economici ed istituzionali. A frenare questi tentativi di pacificazione internazionale ci sono reciproche accuse di non mantenere gli accordi presi che stanno bloccando il lavoro diplomatico. L’indipendenza kosovara non è stata neanche riconosciuta da due grandi potenze come Cina e Russia, con quest’ultima alleata secolare di Belgrado. Sono inoltre cinque i Paesi dell’Unione Europea che non riconosco Pristina: Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia. Va ricordato inoltre che nel Kosovo è stanziata una missione permanente della NATO, la KFOR, con le forze armate del Patto Atlantico che presidiano l’area dalla fine degli anni novanta.

 

 

In virtù delle tensioni delle ultime settimane la Serbia ha chiesto alla KFOR il permesso di entrare in Kosovo per ristabilire l’ordine, permesso che la NATO non sembra disposta a dare. La presenza di questa missione internazionale rappresenta il punto che più di tutti fa propendere per una risposta negativa sui possibili sviluppi di un conflitto tra Serbia e Kosovo. La scelta del Presidente Vucic sembra essere più che altro una dimostrazione di potere e un richiamo nei confronti di tutti i serbi dei Balcani, affascinati dalle tendenze irredentiste che guardano come modello alla Grande Serbia del XIV secolo. Se un conflitto sembra allontanarsi, lo stato attuale dimostra il fallimento europeo di decenni di politiche di inclusione ferme in un limbo che non sembra conoscere prospettive. Ad oggi i Balcani sembrano più una testa di ponte russa verso il Mediterraneo che parte integrante dell’Europa unita.

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