Un film che parla del cuore e che, attraverso di esso, ci insegna il valore dell’amicizia.
Questione di Cuore è un film che mi è rimasto nella memoria, uno di quei film che tracciano un confine netto tra il mare di titoli visti e la certezza che li rivedresti altre cento volte.
Questa meravigliosa pellicola diretta da Francesca Archibugi (Mignon è Partita, Il Grande Cocomero), regista e sceneggiatrice eccellente descritta da molti critici come “Architetto dei sentimenti”, intreccia le storie dei due protagonisti, delle loro vite e delle famiglie in modo straordinario.
Angelo, interpretato da Kim Rossi Stuart, e Alberto, interpretato da Antonio Albanese, si ritrovano in ospedale per un infarto e provano immediatamente empatia l’uno per l’altro, pur essendo così diversi tra loro per carattere ed estrazione sociale: Angelo, restauratore di auto nel quartiere Pigneto di Roma, ricco, bello e incolto, padre di due figli e con una bella moglie incinta del terzo; Alberto, colto borghese intelligente e nevrotico, sceneggiatore di successo dalle mani bucate, incapace di tenersi accanto una donna. Tra i due nasce una straordinaria amicizia, in cui si sostengono a vicenda mettendo a nudo i propri fallimenti, le angosce e la preoccupazione per un futuro ancora più incerto.
Dal momento del loro incontro, e non solo per gli eventi li hanno condotti a quel momento, le loro vite non sono più le stesse. Angelo, silenzioso e forte, circondato da una famiglia romana anni ’80, viene avvolto dall’affetto della moglie Rossana, interpretata da Micaela Ramazzotti, dei due figli e della madre, e in questo affetto tira dentro anche Alberto, in crisi con la sua compagna Carla interpretata da Francesca Inaudi (La Mossa Del Pinguino). Senza ormai più stimoli nel lavoro, Alberto esplora la sua infelicità e cerca le parole per raccontarla, riempiendo i suoi vuoti e consumando, più che vivendo, i suoi giorni. Le vite dei due protagonisti, colpite al cuore, non hanno più quell’asimmetria sociale che li avrebbe portati in altre circostanze ad ignorarsi, e ciò li porta a cambiare il modo di relazionarsi col mondo, con la vita e con gli affetti.
Attraverso una serie di eventi che mantengono un pathos narrativo incredibile ed una sceneggiatura efficacissima sorretta da un soggetto davvero originale, la Archibugi ci fa ridere arrivando a farci uscire qualche lacrima. Riesce a fotografare, attraverso la caratterizzazione perfetta dei personaggi, una Roma diversa da quella del centro storico e dei monumenti: la Roma della periferia, dei panni stesi alle finestre e delle madri affacciate alle finestre a gridare ai figli.
Memorabili alcune scene, come quella della “virile” amicizia tra i protagonisti nella camera da letto della casa al lago: i due attori, con la loro bravura, riescono a regalarci un momento di ilarità da lacrime, interpretando la scena in maniera così realistica da farla sembrare l’attimo rubato a due veri amici.
Lodevole anche il cast, magistralmente diretto. Ciascun attore ha dato il meglio di se’ nell’interpretazione del proprio personaggio: dalla tosta e verace Ramazzotti, al ruvido Albanese, ad un carismatico Kim Rossi Stuart che abbraccia la ribelle e fragile figlia Perla, interpretata da Nelsi Xhemalaj, a Chiara Noschese (la materna infermiera Loredana), al cameo di Virzì, a Luchetti, a Sandrelli, a Sorrentino e ad un Carlo Verdone che, seppur con due battute, riempie la scena.
Difficile definire questo film solo come una commedia: nell’equilibrio tra sorrisi e lacrime si trova un film drammatico ma non troppo, divertente ma di profondi sentimenti e che, attraverso lo sguardo della regista, ci porta a contatto con la malattia e la fragilità che ne deriva, che unisce e avvicina, ricordando quanto sottile sia il filo della vita. Per citare proprio Antonio Albanese “ogni buona commedia si trascina dietro un dramma o un dolore”.
Un film che va visto e che sono sicuro vi verrà voglia di vedere di nuovo, magari accanto a qualcuno che ancora non lo conosce. Un film che tocca il cuore e lì resta.