Progetto Lazarus – Stagione 1: la recensione

La serie tv britannica di fantascienza ribalta un tema classico, quello dei salti temporali, dandogli una nuova e interessante connotazione.

 

 

George è un uomo comune: vive con la compagna Sarah, da cui presto avrà un figlio, ha una mente brillante e sviluppa startup. Una mattina ha un importante colloquio di lavoro che potrebbe cambiargli la vita; si sveglia, saluta frettolosamente Sarah e si fionda dal suo potenziale committente. Il colloquio va fantasticamente: George strappa un contratto milionario e torna a casa a festeggiare. Una storia rassicurante, quasi banale nel suo sviluppo, finché durante i festeggiamenti non scorrono in tv le immagini di un bombardamento che potrebbe dar vita a un conflitto nucleare. Le tensioni internazionali sono arrivate al punto di non ritorno e, nel preciso momento in cui realizza questo, George si sente mancare.

 

 

Questa volta George si sveglia di soprassalto. Un attimo prima pensava che il mondo stesse per finire e adesso si ritrova a letto con Sarah che gli sorride e gli ricorda che ha un importante colloquio di lavoro. Attimo dopo attimo, si accorge che sta rivivendo la giornata appena descritta, ma a quanto pare è l’unico a rendersene conto.
Terrorizzato dall’idea di essere impazzito, il protagonista incontra finalmente Archie, una giovane donna che gli dice che niente di quello che sta vivendo è frutto della sua immaginazione. I salti nel tempo sono reali: sono provocati dal Progetto Lazarus, organizzazione segreta cui la donna appartiene, e avvengono ogni volta che il genere umano rischia l’estinzione. Si torna indietro per sventare ogni possibile attentato contro l’umanità. George è tra i pochi che, a causa di un gene mutante, riesce ad accorgersene e per questo Archie lo invita a unirsi al Progetto.

 

 

Un tema molto comune nella fantascienza, il viaggio nel tempo, assume in Progetto Lazarus significati più profondi, anche a livello etico, attraverso una scrittura coinvolgente e a tratti disturbante che rievoca in alcuni passaggi il clima di inquietudine di una serie cult come Black Mirror.
Innanzitutto, si ribalta la classica teoria dell’effetto farfalla: un cambiamento anche minimo nel passato potrebbe tradursi in conseguenze catastrofiche per il futuro, e va quindi assolutamente evitato.

L’idea che si offre allo spettatore è invece che riscrivere il futuro non sia di per sé un male, a differenza di quanto sosteneva il mitico Doc Brown in Ritorno Al Futuro, o quantomeno che la necessità della preservazione della sequenza temporale debba sottostare a un principio superiore: la salvezza del genere umano; un po’ quanto visto anche in Travelers. Ed è in nome di questa che si decide di riportare in vita i deceduti, di condannare alla morte chi si era salvato, e persino di costringere una stessa donna a partorire decine, centinaia di volte, ogni volta un bambino diverso.
Inutile dire che quella che moralmente sembrava una causa più che condivisibile per manipolare il tempo si rivela presto fonte di tensioni e piani sotterranei per rovesciare il sistema.

 

 

I temi etici sono molti e anche attuali. Se l’umanità vuole sparire, come dimostrano le continue manifestazioni di violenza e questa sempre più potente spinta a una sorta di eutanasia collettiva, chi siamo noi per giocare a fare Dio e riportarla in vita? Chi decide, arbitrariamente, se un’escalation di violenza potrebbe portare alla fine del mondo e bisogna intervenire oppure se quei conflitti potrebbero risolversi naturalmente senza stravolgere la vita di miliardi di persone?
Ma soprattutto, e qui c’è la chiave di questa sorprendente serie britannica: se perdo una persona amata e ho il potere di riportarla in vita senza che il resto dell’umanità se ne accorga, quale spirito di abnegazione dovrei mai avere per non fare tutto il possibile per usare a mio vantaggio uno strumento così potente?

 

Progetto Lazarus, 2022
Voto: 7
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