Pakistan: la crisi e lo spettro dell’emigrazione

Il Pakistan è fortemente indebitato e sull’orlo di una crisi politico-sociale; cosa potrebbe succedere a livello demografico se dovesse arrivare il default?

 

 

Lo Stato pakistano negli ultimi dieci anni ha accumulato debiti da diversi creditori: in primis dal Fondo Monetario Internazionale, e poi dalla Cina, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi.

Questa enorme mole di denaro non sembrerebbe però essere servita a migliorare lo stile di vita dei pakistani e a risollevare l’economia del Paese; al contrario sembrerebbe essere stata destinata al comparto che in questi anni ha beneficiato più di tutti dei fondi statali, quello militare.

Le tensioni lungo i suoi confini con Afghanistan, Iran e soprattutto India hanno reso il Pakistan uno Stato fortemente militarizzato: per numero di effettivi infatti il Pakistan possiede la quinta forza militare mondiale, e un arsenale nucleare con oltre 100 testate.

Il comparto militare è così importante nel Paese che i generali dell’esercito sono spesso infiltrati nelle vicende politiche a tal punto da riuscire ad influenzare le decisioni e la composizione del Governo: l’ex premier Imran Khan infatti è stato arrestato proprio dall’esercito probabilmente a causa di una mancanza di volontà a cooperare con quest’ultimo.

 

 

L’instabilità economica e politica sta gettando anche la società in una condizione di forte instabilità, e molti giovani in queste settimane stanno manifestando violentemente il loro disappunto sia per l’arresto del ex Primo Ministro (ben voluto dai giovani), che per i fenomeni di corruzione che coinvolgerebbero i vertici militari.

Se il Pakistan dovesse fallire, o al suo interno dovessero verificarsi rivoluzioni e guerre civili, il fenomeno migratorio che ne deriverebbe potrebbe assumere una portata ben maggiore di quella verificatasi nei casi della Siria o della Libia.

Lo Stato Pakistano infatti, con i suoi 220 milioni di abitanti, è il quinto Stato al mondo per popolazione; la maggior parte di essa ha meno di 45 anni, e dunque sarebbe, in caso di default o guerra civile, ben disposta a ricominciare una vita altrove, soprattutto alla luce dell’enorme diffusione della comunità pakistana nel resto del mondo, soprattutto in Europa.

 

 

Le criticità si potrebbero verificare nel caso in cui la situazione tracimasse e le autorità locali vietassero le partenze, costringendo così la possibile mole di migranti a seguire rotte migratorie marine o interne in condizioni di clandestinità e di pericolo; questo ovviamente potrebbe aumentare vertiginosamente sia le stragi in mare, che la pressione sugli Stati Orientali del Mediterraneo, già in crisi gestionale con il flusso di migranti mediorientali.

Questa situazione potrebbe però non verificarsi in quanto uno Stato creditore su tutti, la Cina, sembrerebbe essere troppo interessata al Pakistan: la sua stabilità è infatti fondamentale sia per il progetto della Nuova Via della Seta, sia in chiave anti-indiana e quindi anti-americana.

La Cina potrebbe alleggerire la pressione economica che in questo momento il Paese sta subendo, chiedendo di contro stabilità e sicurezza all’interno del Paese vista la quantità di soldi impegnati all’interno dell’area e del progetto Via della Seta.

 

 

Vista la possibile portata del disastro demografico, oltre alla Cina dovrebbero collaborare altri attori internazionali per risolvere la situazione, uno su tutti il FMI; nessuno dei Paesi confinanti, e ne tantomeno quelli europei, infatti vorrebbero trovarsi a gestire un flusso tale di migranti, soprattutto in un periodo storico del genere.

La speranza che possano arrivare dei fondi e degli aiuti concretamente usati per i bisogni del popolo pakistano prima che deflagri la situazione è minima, ma le rivoluzioni a volte non hanno che la speranza come unica base.

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