Niger: lo specchio di un Sahel alla deriva

Il disordine in Niger non è un caso isolato ma rientra all’interno di un progressivo deterioramento della stabilità nella regione del Sahel.

 

 

Il colpo di Stato avvenuto recentemente in Niger fa seguito ad altre prese di potere violente verificatisi nella regione del Sahel negli ultimi anni. Lo scorso 3 agosto le immagini di migliaia di nigerini scesi in piazza a supporto del colpo di Stato hanno sorpreso il mondo occidentale, soprattutto la Francia, largamente presente militarmente ed economicamente nel Paese, in quanto l’evento non era stato minimamente preventivato. L’attacco all’Ambasciata francese e le dichiarazioni di ostilità nei confronti dei presidi dell’ex potenza coloniale, potrebbero portare ad un intervento esterno fino a ieri impensabile.

Mali e Burkina Faso hanno vissuto recentemente situazioni simili; questi colpi di Stato hanno però avuto un’escalation segnata da avvenimenti prodromici che hanno in qualche modo annunciato un rovesciamento violento del potere. In Niger, al contrario, è avvenuto tutto molto repentinamente, anche se la giunta militare protagonista del golpe, come nei casi Mali e Burkina Faso, ha giustificato il proprio intervento adducendo la necessità di assicurare la sicurezza del Paese, cosa che il Presidente Bazoum non sarebbe stato in grado di fare.

La situazione nigerina, se pur con evidenti problemi dovuti all’instabilità tipica dei Paesi del Sahel, non poteva certo dirsi grave prima del colpo di Stato. I reali motivi dietro al golpe sembrerebbero riconducibili alla volontà del Presidente Bazoum di destituire dalla propria carica il Generale Abdourahamane Tchiani, ora leader delle sommosse, operazione inquadrata in un ampio ridisegno dell’architettura militare del Paese.

Il Sahel è sempre più una polveriera ed è divenuto stabilmente il quartier generale del terrorismo jihadista; le condizioni economiche ed umanitarie sono poi altro combustibile che sta portando ad una recrudescenza del fenomeno golpista in tutta la regione.
In questi contesti, i rapporti di potere tra l’élite rappresentano l’ago della bilancia che fa degenerare il tutto in colpi di Stato, come in questo caso.

 

 

L’ottimismo con cui si guardava ai processi di democratizzazione dei Paesi africani nell’ultimo decennio del secolo scorso, sta cedendo sempre di più sotto l’effetto del pragmatismo delle giunte militari che, vedendo le potenze occidentali impegnate su altri fronti, sfruttano il lassismo europeo in Africa per soverchiare regimi democraticamente eletti.

I fatti del Niger hanno portato una novità nel dibattito degli ultimi anni sul Sahel: è possibile un intervento militare europeo per ripristinare lo status quo? Prima ancora di rispondere a questa domanda bisognerebbe valutare se gli altri Stati africani interverranno: la giunta militare guidata da Tchiani non ha risposto all’ultimatum lanciato dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, il che potrebbe portare nei prossimi giorni ad un’escalation di tipo interventista da parte degli altri Paesi africani. Questa possibilità per ora sembrerebbe essersi raffreddata in quanto Guinea, Burkina Faso e Mali hanno minacciato una reazione in caso di intervento.

Da parte europea l’unico Paese che sembrerebbe aperto alla possibilità di un intervento militare è la Francia, ex potenza colonizzatrice dell’area e parte interessata per via delle proprie aziende presenti in Niger, in particolar modo quelle impegnate nell’estrazione dell’uranio. Nel solo 2022 il Niger è stato il secondo importatore di uranio in Europa, rappresentando poco più di un quarto del materiale importato.
Da un punto di vista di approvvigionamenti la situazione non sembrerebbe preoccupare Parigi, in quanto le riserve di uranio francesi per le proprie centrali sarebbero sufficienti per i prossimi due anni; da un punto di vista strategico invece ritirarsi completamente dal Niger rappresenterebbe un disastro politico per la Francia.

 

 

Il Sahel in pochi decenni si è trasformato dal giardino di casa francese ad un punto d’interesse globale. Influenze russe attraverso il gruppo Wagner, interessi cinesi sulle materie prime, terrorismo jihadista e individualismi occidentali; tutto questo rappresenta una sconfitta europea. L’UE non ha saputo infatti farsi leader del continente più prossimo e con la nascita di nuovi istinti militari si manifesterà sempre più disordine nella Regione, un disordine che ricadrà sulle nostre teste sotto forma di flussi migratori incontrollati e pericoli geopolitici.

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