Nell’Erba Alta: la recensione

Sono pochi i racconti di Stephen King che hanno ricevuto una degna trasposizione cinematografica; Nell’Erba Alta non è uno di questi.

 

 

Realizzare un film horror o thriller non è la cosa più semplice del mondo; a meno che non si voglia produrre una pellicola di bassa qualità occorrono infatti ritmo, suspance e una trama solida. Nell’Erba Alta ci prova, ma arriva corto all’obiettivo.

La storia vede fratello e sorella fermarsi lungo uno degli sterminati campi di granoturco che costellano la campagna statunitense del Mid-West e venire attratti al suo interno dalla voce di un ragazzino in cerca di aiuto. Una volta immersi tra le alte piante che coprono la vista, scopriranno di essere vittime di una forza che impedisce loro di ritrovare la via d’uscita.

 

 

Anche se oggettivamente si intuisce immediatamente che Nell’Erba Alta non è un capolavoro, le premesse del film non sono male. Il voler mantenere un certo alone di mistero è una delle armi principali dei film che basa la propria forza sulla suspance, ed in questo Nell’Erba Alta riesce discretamente bene. Gli eventi che si susseguono, sebbene prevedibili, contribuiscono a creare un’innegabile atmosfera che aiuta in modo non indifferente la pellicola a centrare per la maggior parte del tempo quella sospensione dell’incredulità tanto ambita in questo genere cinematografico.

Quello che però controbilancia il film, e lo fa in negativo, è il fatto che troppi elementi diversi vengono dati in pasto allo spettatore senza un contesto o delle spiegazioni precise. Sembra quasi si siano voluti buttare là alla meno peggio diversi temi ricorrenti nei racconti horror, e che lo stesso Stephen King sia vittima di se stesso e delle sue fisse per culti, religioni e possessioni (anche se no, l’eterna lotta tra il Bene e il Male stavolta non è contemplata).

 

 

Il risultato finale è che, nonostante il discreto avvio, Nell’Erba Alta si rivela un film fiacco; manca di mordente e di carisma. Non aiuta in tal senso il cast, che sebbene non mostri demeriti particolari (i due personaggi odiosi sono costruiti così e c’è poco da fare) non fa nemmeno molto per risollevare le sorti di una pellicola mediocre.
Essendo un film corale, senza un vero protagonista, si fa fatica ad individuare una prova di maggior pregio; si possono però promuovere Laysla De Oliveira e Will Buie Jr. e rimandare Harrison Gilbertson e Avery Whitted. Discorso a parte per Patrick Wilson, il cui personaggio plastico e pomposo è probabilmente bene rappresentato ma senza suscitare particolari sensazioni nello spettatore.

 

 

Buona la fotografia, con una larga fetta di girato in notturna che aiuta a formare una sensazione cupa e di disperazione (ma senza arrivare ai livelli di Vivarium). Anche i ritmi non sono male, ed il film tene più o meno fino in fondo, pur tramutandosi lentamente in qualcosa più vicino ad un film d’azione e perdendo i suoi connotati puramente psico-horrorifici.
Dietro la macchina da presa troviamo un Vincenzo Natali (Cypher, Nothing, Splice) lontano dai picchi ottenuti con Cube – Il Cubo nel lontano 1997.

Complessivamente, Nell’Erba Alta è una pellicola tralasciabile, che al di là di buone premesse e di idee di base interessanti manca purtroppo nel complesso il suo obiettivo principale: quello di coinvolgere e colpire lo sepettatore.

 

Nell’Erba Alta, 2019
Voto: 5.5
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