La guerra ai narcotrafficanti si sposta in Messico; e nel farlo, la serie perde buona parte del suo fascino, avvicinandosi ad una comune produzione spettacolare.
Quello che ci aveva particolarmente colpito in Narcos era l’ottima trasposizione, pur romanzata, di fatti reali. Inserendo costantemente elementi storici e raccontando la storia in modo crudo ma anche vitale, specialmente nelle prime due stagioni, Narcos ha segnato una mezza rivoluzione nel modo di raccontare storie di malviventi.
Purtroppo Narcos: Mexico non raggiunge le stesse vette per una serie di fattori che andremo di seguito ad analizzare.
Temporalmente, Narcos: Mexico racconta la lotta al narcotraffico effettuato in Messico negli stessi anni in cui si combatteva la guerra con Pablo Escobar in Colombia, proseguendo poi negli anni successivi fino allo smantellamento (almeno apparente) di un connivente apparato statale. Vedremo la nascita del cartello di Sinaloa e la difficile convivenza con le altre organizzazioni criminali del Messico mentre dall’altra parte gli agenti della Dea e una piccola parte degli investigatori messicani si troveranno ad avere spesso i bastoni fra le ruote messi da apparati corrotti dello Stato.
Dal punto di vista del modo di raccontare la storia, Narcos: Mexico riprende a grandi linee quanto visto nelle tre stagioni di Narcos, ma rispetto alla serie padre manca oggettivamente qualcosa: oltre all’effetto sorpresa, le scene d’azione sono poco realistiche, con armi dai caricatori infiniti, armi che sparano senza tenere il grilletto premuto e situazioni spesso al limite del non accettabile parossismo.
Punto assolutamente negativo di Narcos: Mexico è il modo nel quale i malviventi sono tratteggiati: quasi sempre in modo fin troppo benevolo, come a volerli accostare allo spettatore. Se in Narcos vi era una netta distinzione tra i buoni ed i cattivi, in Narcos: Mexico la cosa è molto più sfumata. Si tratta di un approccio assolutamente esecrabile e che rivedremo in film e serie similari nostrane, da Romanzo Criminale a Gomorra; oltre a inviare un pessimo messaggio verso determinate fasce di popolazione, nelle quali si spinge ad ingenerare una sorta di idolatria verso i criminali, si tratta di un incommentabile modo di raccontare la realtà. Probabilmente l’ennesimo esempio della decadenza dei nostri tempi.
Narcos: Mexico vede ovviamente un cast completamente rinnovato, fatte salve alcune figure che avevamo visto già in Narcos; cast che al contrario della serie originale non stupisce per potenza di recitazione.
Tra i pochi a spiccare, oltre ai ritorni da Narcos, ricordiamo solo Diego Luna (The Terminal, Milk, Elysium, Rogue One: A Star Wars Story, Andor), Jose Maria Yazpik, Alejandro Edda e Gerardo Tarracena. Sulla linea di galleggiamento Joan Cosio e Scoot McNairy (Promised Land); il resto del cast, e parliamo di decine e decine di persone, naviga nell’anonimato o peggio, incluso Michael Pena (Shooter, World Invasion: Battle Los Angeles, Fury, Sopravvissuto – The Martian, Ant-Man And The Wasp), attore statunitense che deve probabilmente le sue fortune più alle sue idee politiche che ad una reale bravura davanti alla macchina da presa.
Narcos: Mexico è una serie che perde per strada buona parte delle unicità che aveva fatto grande la serie sulla lotta a Pablo Escobar; eppure, nonostante questo e nonostante alcuni attori siano più irritanti che cani, Narcos: Mexico porta a casa un risultato insperato. Forse grazie alla possibilità di inserire trame e sottotrame, la serie riesce comunque a farsi gradire nelle tre stagioni che la compongono ed è un discreto compendio di Narcos. Il ritmo è sempre alto, e tutto sommato la serie è una di quelle che si può vedere senza rimorsi.