Giorgia Meloni sottoscrive accordi per 10 miliardi di euro con l’Arabia Saudita per rafforzare la cooperazione su temi strategici.
In occasione della visita ufficiale del Presidente del Consiglio italiano in Arabia Saudita lo scorso gennaio, sono stati firmati accordi bilaterali tra i due Paesi per un valore di circa 10 miliardi di euro.
L’oggetto dell’intesa è vario e riguarda diversi settori strategicamente rilevanti quali agricoltura, difesa, energia, sviluppo industriale e cultura; tutti ambiti ricompresi nella più ampio disegno strategico di Riyadh per il 2030, fortemente voluto dal principe ereditario Mohammed bin Salman. Tra questi vanno sottolineati la diversificazione energetica, intesa come riduzione della dipendenza del Paese dal petrolio e potenziamento del ricorso alle rinnovabili e all’innovazione tecnologica in agricoltura per un’economia più sostenibile, e il potenziamento della capacità militare saudita attraverso accordi con Leonardo ed Elettronica, per spianare la strada verso una possibile adesione al progetto GCAP (Global Combat Air Programme), già guidato da Italia, Regno Unito e Giappone. Non mancano poi accordi per il potenziamento infrastrutturale del Paese, volto a stimolare la crescita del settore industriale ma anche della cultura e del turismo come, ad esempio, la collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei.
Si tratta di intese che, per il principe saudita, rispondono ad un unico, più grande obiettivo: migliorare l’immagine dell’Arabia Saudita a livello internazionale e consolidare la propria posizione e il proprio peso in Europa.
D’altro canto, anche l’Italia vuole rafforzare la propria presenza in Medio Oriente, consolidando le relazioni economiche e strategiche con un partner sempre più rilevante e accrescendo l’influenza geopolitica nel Golfo. Questi accordi costituiscono nuove, importanti, opportunità per le imprese italiane di allargare le proprie mire espansionistiche in settori chiave, inserendosi in un mercato in forte crescita e con la possibilità di accesso a grandi investimenti. Obiettivi ambizioni che pongono sfide altrettanto insidiose per il nostro Paese, su più fronti.
Viene da chiedersi: siamo davvero pronti? La risposta è sì, in alcuni ambiti più che in altri. Nel settore energetico, il know-how tecnologico e la presenza di aziende solide, leader nelle rinnovabili (ad esempio Eni, Enel Green Power, Terna) rende l’Italia un valido alleato per i sauditi. In tema di difesa, un’industria militare forte con aziende come Leonardo, Elettronica e Fincantieri e il possibile ingresso saudita nel progetto GCAP (caccia di sesta generazione) potrebbero dare una spinta significativa all’aerospazio italiano. Infine, l’esperienza italiana nell’amministrazione del patrimonio storico e dei siti culturali, potrebbe concretamente aiutare Riyadh nel settore del turismo.
Allo stesso tempo, la tradizionale lentezza burocratica italiana, con i suoi potenziali e pesanti rallentamenti nella realizzazione di grandi opere, fa sorgere dei dubbi ai più scettici; così come la difficoltà nel reperire la manodopera specializzata, in particolare nel settore tecnico-industriale, con il timore di dover delocalizzare parte della produzione all’estero.
Ma quello che davvero preoccupa sono le divergenze politiche e culturali dei due Paesi e la loro capacità economica, nettamente sbilanciata.
L’Arabia è un paese con una leadership stabile e duratura rispetto ai frequenti cambi di legislatura cui siamo abituati in Italia, con una mancanza di continuità, sia politica che strategica, che potrebbe renderla un partner incerto. Il progetto è ambizioso e mira al 2030, ma se i successori del governo Meloni adottassero una visione diversa rispetto ai predecessori, gli accordi verrebbero messi in discussione?
C’è poi un tema etico; la libertà di stampa e di espressione, i diritti delle donne e le manifestazioni di dissenso sono concetti ancora difficili da digerire a Riyadh, e che potrebbero mettere l’Italia in una posizione scomoda rispetto alle organizzazioni internazionali di cui è parte e che fanno di questi principi il proprio mantra.
Infine, la grande portata economica di questi accordi e un potere finanziario diverso tra i due Paesi, potrebbe rendere, nel lungo periodo, l’Italia economicamente dipendente dall’Arabia, con il rischio che questa possa far leva sugli accordi per ottenere concessioni su altri fronti (vedi migranti e politica estera).
Indubbiamente l’intesa stipulata costituisce un importante punto di partenza per l’Italia ed un successo personale del governo Meloni. Un passo necessario, se si pensa che già altri paesi UE, come Francia e Germania, hanno intavolato trattative con l’Arabia, con il rischio, per il nostro Paese, di trovarsi in una posizione subordinata rispetto ad altri Stati Membri. Adesso il compito difficile è un altro: bilanciare gli interessi economici con la tutela ed il rispetto dei diritti umani e con il mantenimento di una certa indipendenza strategica, evitando di legarsi “troppo” a Riyadh e diversificando i partner commerciali in Medio Oriente.
In sostanza: sì agli accordi ma con strategie chiare per minimizzare possibili rischi del domani.