Megadeth – So Far, So Good… So What! – la recensione


So Far, So Good… So What!, pubblicato nel 1988, vede due importanti cambiamenti nella formazione dei Megadeth: escono il chitarrista Chris Poland e il batterista Gar Samuelson per essere sostituiti rispettivamente dai meno dotati Jeff Young e Chuck Behler.

 

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Il sound ne risente e in alcuni casi risulta un po’ più “vuoto” e meno compatto del solito. Si sente soprattutto la mancanza di Samuelson dietro le pelli, dato che il lavoro di batteria di Behler è piuttosto anonimo. Cio’ nonostante, So Far… resta un ottimo disco, pieno di brani divenuti subito dei classici del repertorio dei Megadeth. In generale c’è una maggiore apertura alla melodia e le composizioni sono tutte più semplici rispetto a quelle contenute nei due dischi precedenti, ma niente è compromesso e la potenza e la “cattiveria” proverbiali del quartetto (e soprattutto del suo leader) non vengono mai meno lungo tutto lo scorrere delle otto tracce presenti. A parte le trascurabili 502 e Liar, che mancano totalmente di mordente, il resto è da mettere sugli scudi. L’intro strumentale Into The Lungs Of Hell è incredibilmente accattivante e le potenti bordate di Set The World Afire scacciano subito ogni dubbio: i Megadeth sono sempre in gran forma. Una cover punk, a questo punto, potrebbe far storcere molti nasi, ma se si tratta della storica Anarchy In The U.K. dei Sex Pistols, per l’occasione resa più potente e splendidamente thrasheggiante, allora il risultato è di tutto rispetto, soprattutto se comparata alla ridicola I Ain’t Superstitious di Peace Sells…. Per la cronaca, la cover vede anche la presenza di Steve Jones direttamente dai Pistols come ospite speciale, anche se la leggenda vuole che al momento di registrare la traccia arrivò in studio all’ultimo secondo e con la chitarra scordatissima, tanto che le sue parti vennero letteralmente seppellite col missaggio!

 

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Un ché di romantico e intimo traspare dalla prima parte della splendida Mary Jane, che cambia successivamente in un pregevolissimo mid-tempo per poi lasciare spazio a un finale veloce e rabbioso: da manuale. La vera gemma del disco, però, resta la monumentale In My Darkest Hour: oltre sei minuti di dramma musicale che avvolgono totalmente l’ascoltatore e rappresentano senza dubbio l’apice dell’album. Conclude bene la cadenzata Hook In Mouth, esplicita denuncia contro la censura negli Stati Uniti.
Siamo di fronte a un’ulteriore evoluzione con questo disco: da una parte vengono fuori nuovi e interessanti spunti compositivi che dimostrano la buona creatività del gruppo, mentre dall’altra, in alcun casi, ne perde un po’ la potenza del suono, complice anche il rimpasto di strumentisti. In modo particolare la produzione stavolta ha sacrificato maggiormente il magnifico impatto del basso di Ellefson, che nelle precedenti uscite era preponderante. Comunque sia, So Far, So Good… So What! è un altro ottimo disco, che conferma la caratura del gruppo di Mustaine e ne allarga ulteriormente la già cospicua base d’ascolto senza dover scendere a compromessi.

No survivors, set the world afire!

 

So Far, So Good… So What!, 1988
Voto: 7
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