Lo scenario in Palestina: cosa potrebbe accadere con l’elezione di Trump

Donald Trump sarà il nuovo Presidente degli Stati Uniti; quali previsioni possono farsi per la condizione del popolo palestinese nel prossimo futuro?

 

 

L’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti ha segnato un punto di svolta nella politica internazionale; ciò che lascia maggiormente perplessa la platea politica globale è il suo approccio non interventista già mostrato nel suo precedente mandato.
La scelta di ridurre il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti in conflitti o situazioni di tensione è una scelta che potrebbe non essere considerata così sciagurata, soprattutto se si guarda al passato degli USA, presenti praticamente in ogni conflitto scatenatosi dal 1914 in poi; tuttavia estraniarsi dagli affari esteri dopo aver creato e alimentato un sistema di dipendenze politico-economiche potrebbe avere effetti devastanti all’interno di determinati scenari.

Uno dei contesti in cui si potrebbero verificare le situazioni più gravi è quello israelo-palestinese, date le condizioni umanitarie attuali della popolazione di Gaza, la sproporzione in termini di mezzi e capacità militari tra le parti in causea e la semplice considerazione sulla totale assenza di un’organizzazione statale riconosciuta alle spalle della popolazione palestinese.

Sotto la precendente presidenza Trump, la politica degli Stati Uniti verso la Palestina è stata segnata da un sostegno quasi incondizionato a Israele. Le decisioni del magnate americano, tra le quali il riconoscimento di Gerusalemme come capitale israeliana e il sostegno a Israele nelle Nazioni Unite, hanno rafforzato il governo guidato da Benjamin Netanyahu, il quale ha portato avanti una politica mirata ad aumentare gli insediamenti nei territori occupati.
Trump ha preferito non prendere posizione contro le violazioni dei diritti umani commesse da Israele, evitando di condannare la continua espansione degli insediamenti nei territori palestinesi e non esercitando alcuna pressione significativa su Tel Aviv per fermare le demolizioni di case palestinesi.

 

 

Nonostante i suoi sforzi per mediare un accordo di pace, come nel caso degli Accordi di Abramo, i quali hanno portato alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e alcuni paesi arabi, la sua amministrazione non ha fatto nulla per porre fine all’occupazione israeliana dei territori palestinesi, né per fermare le violenze che hanno contraddistinto il conflitto negli anni.
Il disinteresse di Trump nell’intervenire direttamente nella questione arabo-israeliana, concentrandosi sulla politica interna e comunque lavorando su alleanze strategiche con alcuni paesi arabi, ha avuto come effetto collaterale sia una legittimazione delle azioni israeliane sia una scusa fornita ai paesi occidentali nel disimpegnarsi dal delicato teatro.

 

 

Ora che il Tycoon è nuovamente Presidente il copione sarà probabilmente lo stesso, e il suo non interventismo sarà mascherato da una diplomazia di facciata che non cambierà nulla nella sostanza della quotidianità dei Palestinesi, che continueranno a subire espropri, vessazioni e limitazioni all’interno della propria terra senza che nessuno possa fare nulla o senza che nessuno se ne interessi veramente.

La condizione dei Palestinesi ricorda quella dei nativi americani e, oggi come allora, parte del loro destino sarà condizionato dalle decisioni prese a Washington, che probabilmente li renderanno, oggi come allora, abitanti di una riserva in un territorio che fu la loro terra.

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