L’intervento americano in Palestina: analisi di uno scenario futuro

Il Presidente americano Joe Biden ha affermato che gli USA sono pronti ad aiutare militarmente lo Stato d’Israele: solidarietà internazionale o strategia anti-islamica?

 

 

La scorsa settimana il Presidente americano ha affermato durante un’intervista che il popolo americano è pronto a sostenere militarmente quello israeliano, identificando quest’ultimo come il baluardo della lotta al terrorismo fondamentalista islamico; nelle prossime settimane dunque non è da escludere l’arrivo in terra israeliana di uomini e mezzi in dotazione all’esercito americano.

L’esercito israeliano è già attualmente di gran lunga superiore sia rispetto alle forze di resistenza palestinese, note come ELP (Esercito Liberazione della Palestina), che rispetto alle milizie paramilitari islamiste di Hamas; l’aiuto militare degli USA pertanto non sarebbe effettivamente necessario data la disparità delle forze ad oggi in campo in Palestina. Il Governo americano probabilmente ha però obiettivi che trascendono il semplice conflitto Israelo-Palestinese.

Al di là della lotta al fondamentalismo islamico, della quale gli USA sono diventati dopo il 2001 il baluardo principale a livello globale, ciò che probabilmente ha spinto gli Stati Uniti a voler intervenire nel conflitto è stato lo spettro dell’arci-nemico Iran intravisto a più riprese dietro le quinte del conflitto (ovviamente negli ambienti e nelle organizzazioni islamiche).

 

 

L’asse di resistenza che opera in Palestina è infatti composto principalmente dai movimenti paramilitari fondamentalisti islamici di Hamas, nato e sviluppatosi proprio in Palestina, e da quello di Hezbollah, di origine libanese e sviluppatosi poi a tal punto da diventare un partito politico con ben 12 seggi nel parlamento libanese. Sebbene i due movimenti abbiano una matrice religiosa differente, Hamas sunnita e Hezbollah sciita, i loro comuni sentimenti anti-sionisti e la loro vicinanza geografica li hanno resi con il tempo alleati.

Proprio quest’alleanza è il palcoscenico dietro al quale, secondo gli USA, si celerebbe lo Stato iraniano, da sempre sostenitore economico e militare degli sciiti libanesi di Hezbollah e di quelli Siriani. L’Iran non ha mai infatti nascosto il profondo odio che nutre nei confronti di Israele, percepito come un usurpatore con velleità dittatoriali su di un’area e su di una popolazione araba.

Per gli USA, l’alleanza fra Hamas e Hezbollah equivale ad un’alleanza diretta fra la Palestina e l’Iran, interessato con buone probabilità ad ampliare la sua sfera di ingerenze nel mondo arabo e in particolar modo in quell’area, tanto strategica dal punto di vista politico quanto affollata dal punto di vista militare (gruppi paramilitari, contingenti europei ed americani, militari siriani, russi e sauditi); un guadagno iraniano in termini di influenze è uno spettro che gli USA vogliono esorcizzare quanto prima, vista anche l’alleanza fra l’Iran e l’altro grande outsider, la Cina.

Gli USA potrebbero intervenire già dalle prossime settimane, soprattutto se dovessero esserci nuove azioni militari da parte di Hamas tali da fornire una motivazione valida a livello internazionale per giustificare la veemenza con la quale interverranno nell’area; ovviamente il tutto sarà quasi sicuramente condito dalla retorica neo-crociata dell’intervento militare finalizzato al mantenimento della pace, quando forse a voler essere mantenuto è solo lo status-quo di Israele e, per estensione, degli stessi Stati Uniti.

 

 

Non ci sarà un dispiegamento di forze come quello avvenuto in Siria probabilmente, dato anche il maggiore controllo che Israele esercita e può esercitare sull’area, ma gli USA non si limiteranno all’invio di droni, mezzi e armi; inviare fisicamente i propri militari infatti per gli USA è un simbolo attraverso il quale manifestare la propria volontà di dominio su un’area nella quale probabilmente prenderanno forma i contorni della politica dei prossimi anni.

Il Medio Oriente e la popolazione araba intrecceranno il proprio destino ancora una volta con quello dell’Occidente e, ancora una volta, a pagarne il prezzo sarà la sicurezza di una popolazione già ampiamente privata della propria libertà di autodeterminarsi.

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