Letta e l’ipocrisia del candidato condiviso

Il solito giochetto buoni contro cattivi: il suo attacco sul candidato “largamente condiviso” nasce perchè non ha i numeri per eleggere un candidato del PD.

 

 

La storia delle elezioni del Presidente della Repubblica Italiana è costellata di forti scontri tra le opposte forze politiche. I casi di Presidenti eletti a stretta maggioranza, talvolta dopo numerose votazioni, sono molteplici: da Einaudi a Segni, da Leone a Napolitano; e volendo allargare a chi ha ottenuto un largo supporto, sui dodici Presidenti eletti finora solo cinque hanno avuto almeno il 70% dei voti.

La storiella tirata fuori da Letta non fa altro che confermare l’ipocrisia, la falsità e l’inattendibilità del leader del PD: non è giusto e non è lecito pretendere che la destra proponga un candidato di comodo per la sinistra quando la stessa sinistra ha occupato tutti gli scranni istituzionali degli ultimi venti anni, contando gli ultimi due Presidenti (Napolitano, Partito Comunista; Mattarella, PD) non sono certo stati eletti in modo condiviso e che Napolitano è stato tutto tranne che un Presidente imparziale e super partes. E ancora: la contemporanea occupazione dei Presidenti di Camera e Senato nelle legislature iniziate nel 2006 e nel 2013 sono stati preoccupanti strappi alla consuetudine di lasciare all’opposizione una delle due cariche.

 

 

La realtà è che per la prima volta in quindici anni il PD rischia di perdere il suo santo in paradiso, di non avere quell’uomo di fiducia che gli permetta di gestire le leve del potere pur non avendo i numeri per far parte della maggioranza; lo stesso Letta divenne Presidente del Consiglio nel 2013 per gentile intercessione del vetero-comunista messo a fare il capo di stato da una coalizione di sinistra che ignorò completamente le rimostranze del centrodestra e di chi per il comunismo perse la vita (Napolitano non fu accolto in Ungheria proprio per via del suo passato). Il fatto che a prescindere dal risultato elettorale il PD sia al governo quasi ininterrottamente dal 2006 non è un caso, e il fatto che non rappresenti il volere dell’opinione pubblica è un problema di notevole entità, soprattutto considerando il declino nazionale imposto dalle decisioni della sinistra italiana.

Poi si può discutere sul nome proposto dalla destra: Berlusconi non è certo un politico dal passato limpido (ma realisticamente chi lo è?) e oggettivamente affidargli una carica alla quale si chiede imparzialità e prestigio non è una scelta plausibile.
Il gioco che sta facendo la destra è strano; se l’idea è qella di alzare i toni con un candidato improponibile per poi fare un altro nome che la sinistra possa accettare, come se si stesse facendo una conessione (sono gettonati quelli della Casellati o di Casini o ancora di Letizia Moratti), al momento il risultato è quello di rendersi poco credibile e di rischiare di portare la discussione su di un campo totalmente ideologico, perdendo l’occasione di dimostrarsi migliore e diversa dal fritto misto che popola la sinistra italiana.

 

 

Fra una settimana avremo (probabilmente) un nuovo Presidente della Repubblica; ci saranno sicuramente colpi di scena dell’ultimo minuto dovuti ad accordi segreti tra i singoli; già oggi Lega e Fratelli d’Italia stanno timidamente ritirando il supporto a Berlusconi (anche se la macchia rimane).
Speriamo solo che il prossimo settennato sia incentrato sulla tutela dei valori e sulle tradizioni della Nazione Italia piuttosto che piegato ai voleri di un potere estraneo e fittizio come quello dell’Unione Europea.

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