Le primarie democratiche USA: perché rischiano di essere inutili

Le elezioni primarie dei democratici negli USA stanno procedendo spedite verso la conferma di Biden; perché però questo risultato può non essere una vittoria?

 

 

Joe Biden ha ottenuto quasi il 90% delle preferenze nella recente tornata elettorale delle primarie democratiche che si sono svolte in Nevada, un risultato che evidenzia un netto aumento della sua base elettorale nella contea di Clarke (quella con Las Vegas); anche nello Stato della South Carolina una settimana prima il Presidente uscente aveva ottenuto un bottino pari al 96% delle preferenze.

La potenza politica degli altri candidati democratici è irrilevante rispetto all’eco politico di un uomo dal curriculum come Joe Biden, prima Vicepresidente sotto Obama e poi dal 2021 Presidente in carica; Dean Phillips, membro della Camera per lo Stato del Minnesota e maggior antagonista elettorale di Biden, non ha nemmeno presentato il suo nome sulle schede elettorali consegnate agli elettori nello Stato del Nevada.

La vittoria di Biden alle primarie dei democratici sembra essere cosa certa, esattamente come si era ipotizzato poco prima che le stesse iniziassero; eppure, nonostante il visibile aumento dei consensi fra le fila degli elettori democratici e il consolidamento della sua stessa base elettorale, la vittoria di Biden potrebbe essere solo l’occhio del ciclone per i democratici USA e per gli equilibri geopolitici mondiali.

 

 

Biden nel corso della sua Presidenza ha dimostrato in diversi momenti di non essere propriamente in condizione per poter governare un Paese come gli USA, una condizione che espone continuamente alla pressione mediatica, ai viaggi, e a forti condizioni di stress in cui è vitale mantenere un certo grado di lucidità.

Due esempi fra il ridicolo e il pietoso sono il recente riferimento fatto dal Presidente durante un discorso nel quale accenna ad un incontro con François Mitterrand avvenuto nel 2021 (peccato che l’ex Presidente francese sia deceduto nel 1996) e l’infelice riferimento a “Good morning Vietnam” (frase iconica delle truppe americane durante la Guerra in Vietnam) proprio durante una conferenza nello Stato vietnamita.

Questi episodi e molti altri stanno facendo vacillare la platea di tutti quegli elettori indecisi, storicamente non schierati per un partito o per l’altro e più improntati perciò a scegliere un candidato e il suo programma piuttosto che un Partito; questa massa elettorale ad oggi sembrerebbe in larga misura orientata ad indirizzare la propria preferenza verso il candidato repubblicano che trascende il partito per antonomasia: Donald Trump.

Il Tycoon sta facendo una campagna elettorale aggressiva sulla falsa riga della precendete, tuttavia gli eventi accaduti in questi 4 anni (dalla pandemia di Covid, alla situazione di Taiwan fino al conflitto russo-ucraino) sembrerebbero aver amplificato la potenza della retorica di Trump; con la scusa del crescente sentimento globale anti-americano, Trump sta fomentando una platea di elettori cresciuti storicamente con l’idea di dominazione globale a stelle e strisce.

Forse il risultato di 4 anni fa non si ripeterà e questa volta Trump potrebbe tornare ad essere l’inquilino principale della Casa Bianca, un risultato che proietterebbe la geopolitica internazionale verso scenari diversi da quelli attuali; Trump infatti potrebbe agire con molta più determinazione nella questione Taiwan per affermare la sua volontà egemone.

 

 

Più facilmente ipotizzabile potrebbe essere invece lo smantellamento della NATO con conseguente peggioramento delle relazioni politiche con l’Unione Europea; il Tycoon non è storicamente un fan dell’atlantismo, soprattutto quando questo costa milioni di dollari senza contribuire alla difesa diretta dei cittadini americani.
Questi scenari potrebbero degenerare a livello diplomatico facendo percepire effettivamente sotto attacco i cittadini americani, che di conseguenza potrebbero innescare nell’elettorato un meccanismo che comporterebbe una crescita di fiducia verso il patriottismo trumpiano, un po’ come avvenne con George W. Bush.

I democratici sembrano fermi a Biden, e sembrano esserlo nonostante una possibile sconfitta vista anche l’attuale percezione dell’uomo in patria; potrebbero aver sottostimato la portata della sconfitta in questione, o forse stanno solo aspettando l’ennesimo campione da schierare dopo Barack Obama, un uomo in grado di trascinare il partito senza che questo debba rivoluzionarsi.

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