Le elezioni primarie in Argentina e la situazione internazionale della sinistra

Le elezioni primarie delle scorse settimane in Argentina hanno sancito la vittoria dell’estrema destra e del suo leader Javier Milei; quali saranno i risvolti?

 

 

In Argentina le primarie hanno come scopo quello di delineare i candidati politici che si sfideranno ad ottobre per la Presidenza del Paese sudamericano. Le ultime, che nella storia argentina sono state quelle con l’affluenza più bassa, hanno delineato una corsa a tre: l’attuale ministro dell’economia Sergio Massa, del partito di centro destra Fronte Rinnovatore; Patricia Bullrich, ex ministro della sicurezza, del partito di centro destra Proposta Repubblicana; e l’economista Javier Milei, del partito di estrema destra La Libertà Avanza.

Sebbene tutti e tre i candidati appartengano all’ala della destra parlamentare, il partito che ha ottenuto più voti, ovvero quello di Javier Milei, è probabilmente il più conservatore ed estremo per la natura delle sue posizioni politiche, sociali ed economiche. Ultraliberista e negazionista dei cambiamenti climatici, Javier Milei è infatti convinto che per risanare le finanze dell’Argentina serva un’apertura totale dei mercati, compreso quello delle armi e quello degli organi, un comparto che, nella visione del candidato presidente, si libererebbe così delle lunghe liste d’attesa e problematiche burocratiche che lo affliggono.

Ovviamente, nonostante il risultato delle primarie, visto l’enorme dato negativo dell’affluenza non è detto che Milei vinca le elezioni, ma il fatto che un estremismo di tale portata sia arrivato a giocarsi la presidenza in un Paese del continente Sudamericano per la seconda volta (la prima con Bolsonaro in Brasile) può essere considerato un potente indicatore del cambiamento che ha investito parte della società sudamericana, il suo approccio alla politica e la visione che questa ha sviluppato nei confronti delle politiche socialiste.

 

 

L’area sudamericana è stata nel XXI secolo l’incubatrice di una nuova forma di socialismo che le scienze politiche chiamano Bolivarismo (Chavismo nel caso del Venezuela), e che dagli albori del secolo ha caratterizzato la politica e la società sudamericana soprattutto in risposta alle velleità imperialistiche degli Stati Uniti d’America; questa ideologia politica infatti proliferò nell’area proprio perché la società civile aveva il desiderio di affrancarsi dal controllo economico e finanziario degli USA per tracciare indipendentemente il proprio destino.

Com’è possibile dunque che in un continente storicamente culla di ideologie politiche dalla matrice socialista si sia arrivati, in meno di un secolo, ad avere nel panorama politico dei due maggiori Stati leadership politiche di matrice reazionaria e ultra-conservatrici? Probabilmente l’attuale crisi della sinistra sudamericana è strettamente legata alla crisi internazionale che ha investito il panorama politico della sinistra nell’ultimo decennio, e le vittorie in Brasile e Cile potrebbero non essere un segnale di ripresa, ma solo il sintomo di una piazza volubile e sempre più lontana dalla realtà politica.

La globalizzazione e l’internazionalismo hanno contraddistinto l’inizio di questo secolo a livello politico ed economico, e spesso sono stati strumentalizzati probabilmente con lo scopo di identificarli come due dei fattori principali che hanno portato alle crisi economiche e sociali degli ultimi anni; le politiche populiste e nazionaliste infatti hanno forse fatto leva proprio sul dualismo che nella loro ottica intercorre fra crisi economica, internazionalismo e globalizzazione sociale e dei mercati.

 

 

Questa strumentalizzazione, unita alla moltiplicazione di canali mediatici che ne ha amplificato gli effetti, sarebbe riuscita a far breccia nel carattere socialista dell’elettorato più popolare che probabilmente si è sentito abbandonato da una classe politica che ne avrebbe dovuto migliorare le condizioni; gran parte delle popolazione sudamericana, e argentina nello specifico, ha forse perso fiducia nella leadership politica della sinistra e ha iniziato a percepirla come una casta interessata ai grandi affari dalla caratura internazionale e alle partnership con economie più sviluppate, piuttosto che al reale fabbisogno nazionale.

L’avanzata dell’estrema destra in Argentina e la proliferazione di politiche reazionarie in Sudamerica potrebbe essere il risultato di un’effettiva astrazione che la sinistra ha compiuto rispetto al suo elettorato, magari convinta di aver raggiunto un equilibrio tale da potersi trasformare per inglobare al suo interno nuovi elettori.

Ad ottobre si deciderà il destino dell’Argentina, e di certo c’è solo che la sinistra per un bel po’ non ne farà parte.

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