Le elezioni in Sud Sudan fra tensioni politiche e interventi internazionali

A dicembre 2024 dovrebbero tenersi le prima elezioni democratiche in Sud Sudan; la società locale è pronta ai processi democratici?

 

 

Dall’ottenimento dell’indipendenza nel 2011, in Sud Sudan si devono tenere ancore le prime elezioni democratiche. Finalmente, dopo una decade di conflitti fra gruppi etnici e politici diversi, il Paese africano sembra deciso ad andare alle urne; molti infatti nel Paese reputano le elezioni come l’atto che sancirebbe a tutti gli effetti la nascita della nuova Repubblica.

La storia della popolazione sudsudanese è stata sin dall’inizio del Novecento una storia fatta di soppressione politica e impossibilità di autodeterminazione, finendo pienamente invischiata al centro di quei processi post-coloniali che hanno creato diverse criticità nelle varie società coinvolte del continente africano.
Il Sud Sudan è stato unito a tavolino al Sudan attraverso la confernza di Juba del 1947, a cui parteciparono unicamente delegati inglesi e sudanesi; il Sudan infatti non voleva perdere né una territorialità come quella sudsudanese, ricca di risorse naturali, né la manodopera sottopagata emigrata dal Sud Sudan in cerca di una qualche possibilità lavorativa vista l’arretratezza economica del proprio Paese.

 

 

Le differenze culturali, geografiche e storiche che intercorrono fra Sudan e Sud Sudan (nonostante la contiguità) sono molto profonde, e questa frattura netta all’interno della società ha portato nel corso del tempo a due distinti sanguinosi conflitti civili che hanno contribuito all’aumento della povertà nel Paese e alla sua debolezza economico-sociale, fino ad arrivare al referendum del 2011, spartiacque della storia sudsudanese che ha sancito la netta intenzione del popolo nilotico di rendersi indipendente.
Da quel momento sino ai giorni nostri, il Sud Sudan ha rivissuto l’incubo del conflitto civile e della guerra etnica; le forze leali al presidente Salva Kiir, di etina Dinka, hanno guerreggiato con le forze militari leali all’ex vicepresidente Riech Machar, di etnia Nuer, un’altro gruppo etnico dell’Africa orientale presente anche in Sud Sudan ma con percentuali minori rispetto all’etnia numericamente dominante dei Kiir.

Questo è il clima storico e politico che accompagna i sudsudanesi alle urne, e molti temono un ulteriore rinvio delle elezioni vista la mancanza di un dialogo costruttivo fra le parti politiche in causa; il dibattito politico infatti in questo momento sembra essere sterile e sempre al limite della tracimazione nel conflitto armato, con le varie parti forse più interessate ai possibili tornaconti personali che alle sorti di un’intera popolazione.

Questo potrebbe essere un momento chiave per la storia del Sud Sudan e dell’Africa in generale, vista la possibilità di attuare un processo elettivo democratico in uno Stato da sempre caratterizzato da conflitti; in questo caso forse i Paesi politicamente più sviluppati dovrebbero, attraverso l’ONU, intervenire con aiuti diretti e consulenze mirate alla creazione di un clima politico che sappia coniugare le aspirazioni e le necessità sociali del popolo sudanese. L’intervento ovviamente non dovrebbe essere un intervento armato, in quanto potrebbe tradursi agli occhi della società sudsudanese come l’ennesima ingerenza dei Paesi più ricchi nei destini del continente africano, ma dovrebbe assumere i connotati di un’intervento civile scevro da qualsiasi obiettivo che non sia quello di garantire democrazia alla popolazione sudsudanese.

 

 

L’intervento guidato dalle Nazioni Unite dovrebbe essere strutturato in conferenze, tavoli di dialogo e consulenze che abbiano come focus il funzionamento di un sistema democratico e il giovamento che se ne può ricavare in termini sociali; saper tradurre le conflittualità politiche in dibattiti infatti è l’essenza stessa della democrazia.
Questo auspicabile intervento potrebbe essere percepito come l’ennesimo tentativo di imporre il volere occidentale su di uno Stato africano, ma per cambiare un pensiero comune occorre cambiare il corso della storia, e questo potrebbe essere il momento più opportuno per dimostrare che il destino della democrazia in Africa è fondamentale per tutte le altre società democratiche e che l’era del colonialismo è finita.

Dicembre non è lontano, e di intervento internazionale o di aiuti ancora non se n’è parlato; attenderemo lo sviluppo degli eventi o saremo in grado di tendere una mano al sentimento democratico sudsudanese in maniera disinteressata prendendoci finalmente le nostre responsabilità?

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