L’attentato del 17 dicembre 1973: strage a Fiumicino

Sono passati cinquant’anni dal primo dei due attentati terroristici compiuti dai palestinesi nel maggiore aeroporto italiano; stragi colpevolemente dimenticate dai media e dalla società.

 

 

Negli anni ’70 e negli anni ’80 il mondo è scosso da un’interminabile serie di attentati, dirottamenti, azioni terroristiche compiute dai palestinesi di Settembre Nero, del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP) e dai loro simpatizzanti internazionali di stampo comunista ai danni di israeliani, europei ed americani in diverse zone del globo.

Il motivo scatenante è l’odio millenario provato verso gli ebrei e la disputa sui territori contesi assegnati dall’ONU ad Israele. Le quattro guerre che si erano succedute dal 1948 al 1973 avevano visto lo stato ebraico resistere all’assalto da ogni direzione ed addirittura riuscire in alcuni frangenti ad espandere il loro territorio. Egitto, Siria, Giordania, Iraq e Libano, vista la loro incapacità di eliminare Israele e gli ebrei, avevano deciso di tirarsi fuori da ulteriori conflitti aperti, lasciando i palestinesi da soli a combattere la propria battaglia.

In quegli anni sono molte le azioni terroristiche compiute dai palestinesi in giro per il mondo. Fra le tante ricordiamo il massacro degli atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco nel 1972, magistralmente raccontato nel film Munich; l’attentato all’aeroporto di Atene nel 1973; il dirottamento di un aereo di linea verso l’aeroporto ugandese di Entebbe nel 1976, con lo spettacolare intervento delle forze speciali israeliane.

 

 

Grazie all’atteggiamento vigliacco che tiene il governo Moro dell’epoca, i palestinesi in Italia hanno una sorta di impunità; sul nostro territorio sono liberi di far approdare armi, personale ed equipaggiamento da impiegare in Europa o pianificare ed organizzare le efferate operazioni terroristiche all’estero. Questo approccio del governo democristiano, fortemente supportato in questo dal Partito Comunista Italiano, spera di scongiurare attentati in Italia a discapito degli altri Stati europei; questi ultimi vedono l’Italia come un Paese ambiguo, il ventre molle dello schieramento. Un danno di credibilità e di immagine che l’Italia porterà con sé nei decenni a venire.

Questa “luna di miele” viene però interrotta sul finire del 1973, quando i nostri Servizi Segreti, fortunatamente non influenzati dalla debolezza degli esecutivi democristiani succedutisi in quegli anni (oltre a Moro ci sono Rumor, Leone ed Andreotti), sventano un attentato che si sta per compiere all’aeroporto di Fiumicino. Un gruppo di arabi è infatti nelle ultime fasi esecutive di un’azione che prevede l’impiego di un missile antiaereo SAM di fabbricazione russa da utilizzare per abbattere un aereo di linea della El-Al, la compagnia di bandiera israeliana, durante il decollo dallo scalo romano. Nonostante la gravità del reato e la sua flagranza (il missile viene ritrovato in un appartamento di Ostia occupato da alcuni membri del commando), alcuni di loro vengono quasi immediatamente rilasciati e condotti in Libia con nostri mezzi militari dietro pressioni politiche.

 

 

Sia come sostituzione del mancato attentato che come rappresaglia verso lo Stato italiano, il 17 Dicembre 1973 un commando palestinese attacca l’aeroporto di Fiumicino dopo essere sbarcato da un velivolo proveniente dalla Spagna. Con uso di armi automatiche e granate, il gruppo immobilizza i pochi agenti di sicurezza italiani e spara sui civili facendosi strada verso la pista; lì assalta un aereo Pan-Am in procinto di partire, gettando granate al suo interno ed incendiandolo con i passeggeri a bordo. Le persone, intossicate dal fumo, con la pelle che si stacca per le ustioni ed in preda allo shock cercano ogni via di fuga possibile, inclusa quella del saltare giù dall’aereo gettandosi dalle ali; il tutto mentre intorno a loro, sulla pista, riecheggiano esplosioni di bombe a mano e colpi di arma da fuoco.

 

 

A questo punto i terroristi, con una decina di ostaggi sotto controllo, si dirigono verso un aereo della Lufthansa, con a bordo dei complici che avevano già preso il controllo del velivolo e del suo equipaggio. Nel frattempo gli agenti di Polizia giunti sul posto si astengono dall’aprire il fuoco per il pericolo di colpire degli innocenti o di colpire i serbatoi degli altri aerei, e si limitano a proteggere i passeggeri ed i tecnici in fuga dal rogo dell’aereo Pan-Am.
Dopo un breve momento di caos, durante il quale alcuni Carabinieri tentano di sbarrare la strada all’aereo in movimento, il volo Lufthansa decolla con destinazione sconosciuta, portando con sé cinque terroristi e diciannove ostaggi. Nella sala transiti, sulla pista di rullaggio e all’interno dell’aereo Pan-Am in fiamme rimangono i corpi di 34 persone. Si tratta del peggior attentato palestinese compiuto negli anni ’70.

 

 

Quello che accade successivamente è l’emblema della situazione di quegli anni. L’aereo si dirige ad Atene, dove atterra ma non viene fatto ripartire. Qui i terroristi uccidono uno degli ostaggi, il tecnico aeroportuale Domenico Ippoliti, e costringono le autorità greche a dare il via libera al rifornimento ed al decollo. Dopo alcune negoziazioni, i terroristi vengono fatti atterrare in Kuwait, dove si arrendono alla Polizia locale. Ma qui vengono semplicemente trattenuti, non arrestati; in pochi giorni i dirottatori vengono trasferiti in Libia, dove se ne perdono definitivamente le tracce.

Ad assumere il controllo delle negoziazioni diplomatiche in quei giorni sono gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Libia e il Kuwait. L’Italia viene scansata e ignorata da entrambi i lati del tavolo: per essere un alleato non affidabile per gli occidentali e per non essere politicamente rilevante agli occhi degli arabi. Nel frattempo la stampa italiana di sinistra nega l’evidenza: non si tratterebbe di palestinesi. Poi l’ammissione, ma con il corollario che non sarebbero affiliati ad alcuna organizzazione ufficiale; c’è chi arriva addirittura ad azzardare che a manovrare dietro le quinte ci sarebbe qualcuno che punta a screditare la causa araba. Quando i fatti diventano chiari ed incontrovertibili, l’intellighenzia progressista e comunista inizia a fare dei distinguo, a giustificare, a ribaltare su Israele le colpe della violenza palestinese; quello che avviene ancora oggi quando bisogna difendere qualche indifendibile paladino delle sinistre.

 

 

Il governo italiano fa una figura meschina, ed anche per questo in breve sulla vicenda scende un silenzio intollerabile: per gli organi di stampa vicini alla DC, perché occorre nascondere le incapacità e gli errori strategici compiuti fino a quel momento (e che si ripeteranno in seguito); per quelli di sinistra, per condurre all’oblio la memoria di fatti sanguinosi ed inaccettabili, la stessa strategia che si proverà ad attuare con le Brigate Rosse ed i famosi “compagni che hanno sbagliato”.

La mancanza di prese di posizione, di atti ufficiali, di azioni diplomatiche e militari portano l’Italia a sparire come interlocutore internazionale. Solo a metà degli anni ’80, con il governo Craxi, l’Italia tornerà ad essere autorevole e ad imporsi al tavolo delle Nazioni che contano. Non a caso avverranno altri due sanguinosi atti terroristici nel 1985, ancora a Fiumicino e sull’Achille Lauro, nave da crocera dirottata in mare sempre da palestinesi. Dopo allora però la politica di tolleranza verso gli arabi, le loro estremizzazioni e le loro violenze è passata da essere una caratteristica dei governi Moro ed Andreotti a un cavallo di battaglia della sinistra italiana, a partire dallo stesso Craxi. Le conseguenze le conosciamo: immigrazione, tensioni sociali e bombe religiose ad orologeria pronte ad esplodere sono ormai un elemento cancerogeno e difficilmente reversibile in seno alla nostra società.

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