La sopravvivenza di Israele tra odi millenari e falsi alleati occidentali

Manifestazioni di massa, accuse di genocidio, provocazioni e minacce: Israele è sotto attacco militare, mediatico e culturale non solo da parte del mondo arabo.

 

 

Ci sono fatti che più di altri fanno pensare sulla misera condizione della cultura occidentale. L’inqualificabile incursione commessa da Hamas lo scorso ottobre che in poche ore ha causato la morte di oltre 1500 israeliani, perlopiù civili massacrati a sangue freddo nelle loro case, in luoghi ricreativi o lungo le strade, non ha smosso di un centimetro la stolida “certezza del giusto” dietro la quale buona parte del mondo che si definisce “progressista” si trincera in modo ideologico e acritico.

 

 

Le scene raccapriccianti che abbiamo visto, dove i miliziani palestinesi fermavano le auto per poi sparare a bruciapelo alle persone al loro interno o decapitavano finanche i bambini, hanno fatto il giro del mondo ed hanno ricordato le azioni esecrabili commesse dai militari russi nei primi giorni dell’invasione in Ucraina. Non si tratta di “resistenza”, come qualcuno vorrebbe descriverla, ma di un vero e proprio atto di guerra commesso attraverso modalità brutali e sanguinarie attuate contro civili inermi. Eppure buona parte dei media e dell’opinione pubblica del mondo occidentale si è quasi subito schierata con Hamas e con i palestinesi, giustificando l’ingiustificabile e citando esclusivamente l’oppressiva presenza israeliana in Palestina come causa scatenante di questo attacco terroristico, omettendo colpevolmente quanto da sempre i movimenti palestinesi abbiano remato contro ogni tentativo di convivenza.

 

 

Se solo si leggessero i giornali (più fonti diverse e di diverso pensiero, non esclusivamente l’organo di stampa del mondo dei centri sociali) e si leggessero i libri di storia ancora non soggetti alla censura del mondo politically correct, si scoprirebbe che dal momento in cui le Nazioni Unite hanno sancito la nascita di Israele, anno di grazie 1948, il Paese destinato ad accogliere gli ebrei senza patria sparsi per il mondo è stato costretto a combattere quattro guerre in meno di trent’anni; due a sorpresa e senza casus belli (nel 1948 e nel 1973), una con un’escalation ad anticiparla (nel 1956) ed una preventiva (nel 1967, anch’essa figlia di evidenze anti-israeliane nell’area).

Israele non è il male sulla terra, e se è vero che negli ultimi anni Netanyahu ha condotto una politica molto aggressiva di colonizzazione dei territori che circondano la striscia di Gaza, è pur vero che dal giorno della sua nascita Israele è praticamente da solo contro il mondo arabo che lo vuole eliminare.

 

 

Ma non si tratta di un motivo puramente territoriale. Se la decisione del consiglio dell’ONU che nel 1948 sancì la costituzione dello stato di Israele a discapito della Palestina, precedentemente protettorato inglese, fu una scelta figlia dell’olocausto e fu fatta a tavolino da USA, URSS e Gran Bretagna che non tenne troppo conto della popolazione locale costretta a spostarsi e lasciare le proprie case, è pur vero che l’odio razziale nei confronti degli ebrei è qualcosa di millenario.

Nel mondo cristiano, gli ebrei sono sempre stati visti come “il popolo che uccise Nostro Signore Gesù Cristo” e sono sempre stati additati nei peggiori dei modi: avari, usurai, avidi, arcigni e subdoli. Gli ebrei da sempre vivono una condizione di persecuzione più o meno evidente, ed il fatto che per forza di cose la loro comunità sia molto unita, compatta e fortemente tradizionalista, è una normale conseguenza.

 

 

Ma venendo ai giorni nostri, Israele e gli ebrei sono diventati il nemico pubblico numero 1 di una certa intellighenzia e del mondo della sinistra da quando il Paese della Stella di David è assurto a funzione di testa di ponte e spina del fianco nei confronti dei Paesi medio-orientali schierati con l’Unione Sovietica. La stretta relazione fra Israele e USA durante tutta la guerra fredda ha alimentato le bieche polemiche, le manifestazioni e il sostegno al mondo arabo da parte della base elettorale delle sinistre europee; un elettorato storicamente privo di coscienza critica e di pensiero autonomo.

 

 

Non è infatti un caso che gli stessi che condannano fortemente l’olocausto commesso dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale siano coloro che utilizzino la parola “ebreo” come epiteto nefasto e che sono pronti a sostenere gli stessi palestinesi che negli anni ’70 e ’80 seminavano la morte nel mondo dirottando aerei, uccidendo civili innocenti nemmeno ebrei, mettendo bombe e compiendo attentati sanguinari. E ancora di più: quelli che sono schierati aprioristicamente a favore della Palestina, una terra dove gli omosessuali devono scappare, dove le donne sono trattate in modo maschilista e privo di umanità, sono gli stessi che idolatrano i movimenti LGBT e il femminismo estremista.
La solita, ennesima ipocrisia di un mondo indottrinato che non è capace, o non vuole, accettare che la storia possa avere elementi diversi da raccontare, a volte anche scomodi per le proprie convinzioni.

 

 

Oggi Israele, nella sua lotta per la sopravvivenza, è pressoché solo. Al di là delle parole di circostanza, sono pochissimi i governi che hanno dimostrato coi fatti la propria vicinanza, mentre sono molti quelli pronti a condannare uno Stato i cui cittadini sono stati attaccati a tradimento, con la ferocia bestiale tipica di quel fanatismo islamico che sta facendo sempre più proseliti anche in Europa.

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