La nostalgia del pallone elettronico che fu

Negli anni abbiamo chiesto giochi di calcio sempre più realistici, ma è davvero quello che volevamo?

Se il calcio è lo sport più praticato al mondo lo deve alla sua semplicità. Un pallone, o un oggetto che lo ricordi, ed uno spazio vagamente delimitato sono le uniche due attrezzature necessarie per praticarlo. Ricordo giornate piovose passate a calciare un foglio accartocciato e legato con lo scotch tra le gambe di un tavolo, e questo era già sufficiente. Un requisito così basilare fa sì che uno sport possa essere trasportato in forma elettronica con estrema facilità, al punto che il football (come lo intendiamo nel vecchio continente) arriva sullo schermo ben prima delle macchine da gioco come le conosciamo, sotto forma di variante del Pong. Due stecche, una palla, invero piuttosto quadrata, e delle porte rudimentali: il gioco è fatto e i bambini degli anni ‘70 possono sognare un goal a San Siro anche quando sono costretti a stare a casa.

Real Sports Soccer per Atari 2600 non è esattamente realistico come il titolo lascia intendere.

L’interesse per una struttura così semplice, in cui non è neanche possibile simulare il gesto di calciare, non è destinato a durare a lungo. Ma la tecnologia galoppa, e già su Atari VCS vediamo i primi vagiti di quello che ancora oggi viene giocato, solo molto più grezzo.
Il primo titolo a lasciare davvero il segno però è senza dubbio International Soccer, sviluppato dal solo Andrew Spencer per Commodore 64 e caso perfetto per illustrare la struttura tipica di una partita di pallone ad 8 bit. La dinamica prevede che il giocatore più vicino al pallone cambi colore automaticamente, diventando controllabile con il joystick. Questo ha un solo tasto, perciò se si vuole muovere un altro omino l’unica alternativa è portare quello attualmente controllato fuori dallo schermo. E dati i limiti di calcolo della macchina, quello che esce dalla visuale cessa semplicemente di esistere, perciò l’abilità tattica consiste nel gestire la presenza a video dei giocatori giusti al momento giusto, mentre quella tecnica si basa sullo sfruttare l’assenza di un metodo reale di effettuare contrasti, cercando di tenere la palla in volo fino al momento di doverla calciare. Un esempio da manuale di regole proprie del programma stesso che diventano parte integrante della partita creando un’esperienza unica.

International Soccer è grezzo ma estremamente godibile.

Ogni programmatore alle prese con hardware limitato doveva quindi inventarsi qualcosa per rendere le dinamiche di gioco interessanti e divertenti, e quando questo non era possibile per limiti di tempo o risorse puntava tutto su una grafica all’avanguardia, su numerose opzioni di gioco o su approcci totalmente innovativi. Pensiamo ad esempio ai vari Captain Tsubasa su NES, prodotti su licenza gravati dall’onere di far diventare un videogioco l’anime calcistico più popolare al mondo, quell’Holly e Benji che qui in Italia ha mandato al pronto soccorso diversi bambini desiderosi di effettuare la catapulta infernale.
Per mantenersi fedeli ai ritmi del cartone, Tecmo ha optato per una struttura molto più simile a Final Fantasy che ad un gioco di calcio, ed ogni azione viene svolta impartendo i comandi ai giocatori anziché muovendoli direttamente. Il risultato è bizzarro, e si discosta completamente dai canoni del genere, ma se a distanza di trent’anni vengono ancora prodotti seguiti (seppur molto cambiati sia nella forma che nella sostanza) il pubblico ha evidentemente apprezzato. E che dire di Kunio Kun, arrivato in occidente come Nintendo World Cup? Si controlla un solo giocatore per tutta la partita e quando la palla non è in suo possesso è possibile dire agli altri cosa fare, ma le peculiarità non finiscono qui. I falli non vengono fischiati, i campi da gioco hanno superfici come ghiaccio, sabbia e roccia, gli atleti sono personaggi di un picchiaduro portati di peso sul campo di gioco ed è possibile effettuare super tiri assurdi che spazzano via qualunque cosa nel loro cammino. Divertentissimo e costante portatore di risate, è un titolo calcistico pur senza esserlo la maggior parte del tempo.

Giocare a Captain Tsubasa sarebbe stato un sogno per i bambini italiani degli anni ’80, ma Tecmo aveva i diritti solo per il mercato giapponese.

Per soddisfacenti che siano, quasi tutti questi titoli si portano dietro un peccato originale difficile da sanare: la possibilità di segnare infallibilmente con una tecnica apprendibile più o meno facilmente. Certo, ha il suo fascino scoprire da soli il modo di buttare la palla in rete senza mai sbagliare, ma arrivati a quel punto è difficile tornare indietro ed avere ancora interesse, specie se non si hanno avversari umani da affrontare. Arriva quindi in soccorso un filone a 16 bit che pone come obiettivo primario la diversificazione delle azioni e sfrutta le nuove macchine per rendere attivi anche i calciatori che non vengono controllati direttamente in quel momento. Nasce una rivalità storica e ancora viva, quella tra Kick Off e Sensible Soccer.
Il primo, frutto del genio di Dino Dini, va ad una velocità quasi supersonica e pone l’accento sulla difficoltà nel gestire il pallone tra i piedi. Come nella vita reale, non ci si improvvisa centrocampisti: si deve saper stoppare la sfera, dribblare senza perderla e dosare perfettamente i passaggi. La curva di apprendimento è molto ripida, ma chiunque ne sia venuto a capo giura che tutt’ora non esista niente di più soddisfacente.
Il secondo, figlio di Sensible Software, è molto più tollerante per chi ama correre per il campo con la palla, e grazie ad un controllo semiautomatico dei passaggi invoglia ad andare al tiro con schemi che coinvolgono tutta la squadra. L’aggressività degli avversari e l’inquadratura molto lontana dal terreno di gioco fanno sì che ogni sortita offensiva debba essere ragionata, ma con pochissimo tempo a disposizione per farlo. Entrambi sono disponibili per quasi tutte le macchine in varie edizioni e riedizioni, ma dovendone consigliare una è più sicuro andare sulle ultime uscite per Amiga.

Sensible Soccer è ancora un paradigma di giocabilità e longevità tra i giochi sportivi.

La possibilità di avere grafiche sempre più realistiche e molta memoria a disposizione ha portato le uscite a 32 bit a livellarsi sempre più verso un realismo che lascia meno spazio agli arzigogoli dei programmatori, dando una struttura molto simile a tutti i titoli di fine millennio. C’è ancora spazio però per la fantasia di chi vuole distinguersi dalla massa. Namco porta dalle sale giochi alle case Libero Grande, che permette di giocare in terza persona nei panni del fantasista di una nazionale alla caccia del titolo mondiale. Idea fin troppo ambiziosa, ma il risultato finale non è malvagio. Psygnosis invece la butta in caciara con Adidas Power Soccer, che punta sulla frenesia dell’azione e su super poteri improbabili da sfruttare per segnare in ogni modo, impacchettando il tutto con grande considerazione della casa di abbigliamento tedesca. Verrà dimenticato presto, ma ha avuto cinque minuti di gloria e due seguiti. Take Two, infine, cerca di passare i limiti con Bomba 98, conosciuto nel resto del mondo con almeno 5 titoli diversi, che cerca minuziosamente di riprodurre una partita di calcio rallentando il ritmo per permettere ad ogni singolo tocco del pallone di essere preciso e ragionato. Troppo ambizioso per sfondare, ha comunque dei tocchi di classe notevoli come i volti dei calciatori molto più dettagliati della media e il sistema di tiro che produce goal soddisfacenti, specialmente su calcio piazzato.

In Libero Grande possiamo guidare la Scozia nei panni di un Maldini alto 218 centimetri. No, sul serio.

Nella nostra epoca i due capisaldi del football elettronico (PES e Fifa, che pur di recente hanno cambiato nome) si sono presi la scena per non lasciarla più, togliendo alla concorrenza la voglia di sfidarli su un terreno di gioco, quello del realismo, che non lascia spazio a grandi variazioni: una volta riprodotta una partita in maniera convincente e iper dettagliata, come si può aggiungere o togliere qualcosa? La ricerca della perfezione tende sempre a portare verso la stessa direzione, mentre chi non ha mai potuto aspirarvi si è distinto con estro, creatività e spesso parecchia follia. È un modo di intendere lo sport virtuale che ormai esiste solo nelle produzioni indie e nelle memorie dei vecchi giocatori, e verso il quale è normale provare parecchia nostalgia.

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