La minaccia dell’atomica in Ucraina: cronaca di una doppia strategia della tensione

Le preoccupazioni internazionali per l’utilizzo dell’atomica da parte di Putin sono alte, ma maggiore è la posta e più alto dev’esser il bluff.

 

 

La scorsa settimana il presidente americano Biden, durante una raccolta fondi per i democratici, ha affermato che il rischio di un conflitto nucleare non è mai stato così concreto come oggi dai tempi delle tensioni con la Cuba rivoluzionaria e castrista durante la Guerra Fredda.

Le paure americane, e per estensione di tutti gli Stati NATO, sono state alimentate nelle ultime settimane dai movimenti nel Mar Glaciale Artico del sottomarino nucleare russo K-329 Belgorod, un mezzo in grado di essere armato con quello che sembrerebbe essere il futuro degli armamenti nucleari: il siluro Poseidon.

Oltre ai movimenti del Belgorod alcune fonti giornalistiche vicine al Times hanno affermato esserci anche dei movimenti di treni speciali dalla Russia centrale verso l’Ucraina, treni che secondo queste fonti conterrebbero armamenti nucleari. I presunti convogli pare siano scortati dalla dodicesima divisione della Difesa russa, corpo impegnato proprio nell’utilizzo, nel trasporto e nello stoccaggio di armamenti nucleari.

 

 

Certamente il proseguo di una guerra che nell’ottica russa doveva essere un conflitto lampo, e che nell’ottica occidentale non doveva proprio esserci, sta logorando mentalmente gli strateghi e sopratutto i militari di tutte le forze coinvolte. È per questo motivo che probabilmente l’innalzamento dei toni e del livello delle minacce è diventato una parte integrante della strategia politica dei paesi interessati al conflitto; una manifestazione d’intenti militare infatti è già di per sé un’offensiva in grado di far ripensare la strategia al nemico, o quantomeno di allertarlo lungo un determinato fronte per magari colpirne poi un altro. 

Putin questo lo sa perfettamente, ed è anche consapevole che gli esiti giornalieri del conflitto sono i pesi che fanno oscillare le lancette della bilancia della diplomazia durante le riunioni e i summit sulla crisi energetica; qualsiasi accadimento può condizionare le trattative attuali e future sull’approvvigionamento di gas russo, sopratutto con l’inverno alle porte, figurarsi la minaccia di un imminente conflitto nucleare fra le potenze mondiali.

 

 

La Russia ha certamente il potenziale nucleare per scatenare una guerra di questo tipo, e la resistenza ostinata e impensata degli ucraini, foraggiati dalle Nazioni europee e dagli Stati Uniti, potrebbe configurarsi come lo scenario militarmente ideale per avviare un’offensiva nucleare; ciò garantirebbe un’accelerazione nelle manovre di conquista in territorio ucraino e getterebbe nel terrore anche le più stoiche forme di resistenza ucraina.

Il Cremlino è anche consapevole che la fisiologica risposta ad un attacco nucleare sarebbe un contrattacco dello stesso tenore da più fronti e su più fronti, cosa che condurrebbe inevitabilmente ad un conflitto su vasta scala in cui la Russia non avrebbe la stessa certezza militare che hanno gli Stati NATO in termini di alleati, considerata anche la pseudo neutralità della Cina. Ci sarebbero dalla sua parte quasi sicuramente Iran, Siria e Corea del Nord ma, nonostante due di questi tre Stati dispongano di un ordigno nucleare, non sarebbe comunque un’alleanza minimamente paragonabile all’efficenza ed al potenziale dell’Organizzazione atlantica.

Dall’altra parte dell’Oceano le parole di Biden sembrano lasciar intendere che negli Stati Uniti ci sia un alto livello di timore nei confronti delle possibili azioni militari di Putin, sopratutto in chiave nucleare. L’America è tuttavia consapevole che per perpetuare la sua politica di dominazione ed egemonia ideologica necessita dello spettro di un nemico anti-sistema, e quindi anti-occidentale, in grado di infondere nei suoi cittadini, negli alleati e nelle loro società la paura di un attacco al proprio sistema di valori, tale da spingere tutti a sostenere quel determinato tipo di politica, autoproclamatasi garante delle libertà.

 

 

Un conflitto nucleare presumibilmente non ci sarà, costerebbe troppo in termini di rischi militari, politici, umani e biologici e, proprio come negli anni ’60, la minaccia di un deterrente nucleare in grado di spazzare via città intere è essa stessa un deterrente, soprattutto quando dietro la minaccia ci sono profondi interessi commerciali. Ma qual è il prezzo da pagare per questo teatrino dell’orrore e della minaccia?

Il prezzo purtroppo è l’incertezza che circola nel mondo, la diffidenza nell’avvenire e quell’odore di passato che riaffiora nella memoria collettiva, portando con sé il puzzo della paura e delle macerie.

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