Il 19 giugno del 1940 ha inizio l’odissea del Perla, un sommergibile italiano che, benché funestato da una serie di sventure, riesce, nelle peggiori condizioni, ad affrontare il lungo viaggio da Massaua sino al porto atlantico di BETASOM in Francia, e non solo. Ripercorrete con noi il suo viaggio.
All’alba del secondo conflitto mondiale, a difesa del risorto impero di Roma, in Africa Orientale, c’è una flotta di appena una trentina di unità, vecchie, rugginose ed al limite della loro vita operativa. Tra queste i battelli più moderni sono gli otto sommergibili: gli oceanici Guglielmotti, Ferraris, Galvani, Galilei, Archimede, Torricelli e i costieri Macallè e Perla.
Questa flotta così raccogliticcia non solo deve difendere la lunghissima costa del Corno d’Africa, ma ha il compito di primissimo rilievo di interdire il flusso del naviglio inglese verso Suez. Una missione fondamentale per l’esito del conflitto, affidata a pochi uomini per di più senza nafta.
All’entrata in guerra dell’Italia, i sommergibili sono i primi ad entrare in azione, ma riscontrano sin da subito gravi problemi tecnici. Infatti, il clima caldo impone un intenso utilizzo dei sistemi di condizionamento e, purtroppo, sono comuni avarie e conseguenti fuoriuscite di cloruro di metile, tossico, inodore e incolore. La Marina era ben conscia di questi problemi che si sarebbero potuti risolvere usando un gas inerte come il freon, ma non venendo prodotto in Italia si preferì mischiare il cloruro di metile ad altre sostanze per renderlo riconoscibile all’olfatto e ridurre i rischi di esplosione, diventando però molto più tossico e pericoloso per gli equipaggi.
Non ci si può quindi sorprendere della sorte del Macallè: per questi malfunzionamenti dovette andare in riparazione trentasei volte negli anni precedenti al trasferimento in Eritrea, e nelle prime settimane di guerra l’equipaggio rimane intossicato e naufraga. È il primo sommergibile della Regia Marina ad andare perduto nel corso del conflitto.
Luoghi di agguato all’inizio della guerra.
Il Perla lascia il porto il 19 Giugno del ‘40, e nel corso della navigazione verso il luogo di pattuglia il sistema di condizionamento inizia a malfunzionare. Il comandante ordina la pulizia dei filtri di aerazione considerando sostenibili le fuoriuscite di gas durante le riparazioni. Ma in breve tempo diversi membri dell’equipaggio rimangono intossicati mostrando segni di demenza e alterazione, tanto da dover essere legati ai lettini nei casi peggiori. Il 22 Giugno, con gli ordini invariati, raggiunge il luogo di agguato. Nel frattempo a Massaua, il Ferraris torna in porto con l’equipaggio intossicato, così viene ordinato anche al Perla di ritornare.
Nel viaggio di ritorno anche sul Perla la situazione si fa critica; gli avvelenati aumentano e raggiungono il 90% dell’equipaggio, compreso il comandante e il direttore macchina. Non restano che pochi uomini in grado di manovrare il sommergibile e la temperatura è ormai intollerabile, tanto che nelle ore diurne il vascello è costretto sul fondo. Si superano i 60 gradi.
Per meglio orientarsi il Perla viene portato in emersione ed è avvistato da un cacciatorpediniere inglese che lo insegue sganciando bombe di profondità. Il Perla si reimmerge immediatamente e sfugge al breve inseguimento uscendone incolume. Dopo qualche ora riemerge e prosegue il suo viaggio.
Procede verso la costa cercando di fiancheggiarla, ma persa la posizione si avvicina troppo e rimane arenato. I tentativi di disincagliarlo sono inutili, si deve attendere l’arrivo di una nave di soccorso. Nel momento peggiore l’aviazione italiana individua un gruppo di imbarcazioni inglesi in avvicinamento in direzione del sommergibile. Il comandante del Perla dà gli ordini di evacuazione e dopo poco dal ponte incomincia un intenso cannoneggiamento tra il pezzo da 100mm del Perla e le navi inglesi.
Il Perla sembra perduto. Il comandante resta da solo con l’elettricista Forgiarini (a cui viene poi conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare) che, ferito, si rifiuta di abbandonare il battello, e che viene poco dopo nuovamente colpito, questa volta a morte. A rimanere sul Perla è anche il Tenente di Vascello Simoncini, che già sceso sulla costa ritorna sul battello conscio di avere poco da vivere, e muore agrappato alla bandiera.
Solo l’intervento di otto vecchi bombardieri S81 riesce a mettere in fuga le navi inglesi ed a salvare il sommergibile italiano.
Il viaggio del Perla. Le linee tratteggiate indicano le correzioni di rotta prese durante il viaggio per risparmiare carburante e ridurre i tempi.
La nota fa giustamente notare “Il Perla sommergibile ‘costiero’?” vista la grande resistenza nelle acque oceaniche.
Il 15 Luglio iniziano i lavori di ripristino del Perla. Riparate le falle, questo viene rimesso in stato di galleggiamento e trainato fino al porto di Massaua.
L’entità dei danni e le limitate attrezzature del porto di Massaua fanno si che i lavori di riparazione si protraggano molto a lungo, tenendo il sommergibile lontano da tutte le operazioni.
Con l’approssimarsi, ormai certo, delle forze inglesi verso Massaua, si organizza l’evacuazione di tutta la flotta del Mar Rosso. Le navi ancora in grado di navigare, come gli incrociatori ausiliari Ramb I e Ramb II (le ex-navi bananiere del monopolio nazionale), vengono inviate in un rischiosissimo viaggio verso il Giappone. I sommergibili ancora operativi Ferraris, Archimede e Guglielmotti vengono invece mandati verso la base dei sommergibili atlantici italiani di BETASOM, a Bordeaux in Francia.
Benché il termine dei lavori sia ancora lontano e la sua classificazione sia quella di sommergibile costiero, anche il Perla viene attrezzato per affrontare le onde dell’oceano. Il 1 Marzo salpa per la lunga navigazione, ma subito viene avvistato al largo dell’Eritrea da un bombardiere inglese riuscendo a sfuggirne indenne.
Nel corso del tragitto il Perla viene rifornito da 2 incrociatori ausiliari tedeschi, tra cui la famosa nave corsara Atlantis. Dopo 81 giorni di navigazione e 13000 miglia nautiche raggiunge la base di BETASOM.
Il Perla e il suo equipaggio a BETASOM.
Il sommergibile trascorre altri mesi di riparazioni, dopodiché, ritenuto inadatto all’oceano, il 20 Settembre salpa stavolta per il Mediterraneo attraversando perfino in emersione lo stretto di Gibilterra. Il 3 Ottobre ritorna nelle acque nazionali arrivando a Cagliari. Nel Mediterraneo l’equipaggio del Perla affronta una serie di sfortunate missioni: lunghi pattugliamenti non riescono ad ottenere i risultati sperati vista soprattutto la difficoltà data dalle acque estremamente ostili. In più occasioni insegue delle navi da guerra inglesi mancandole.
Il 6 Luglio del ’42 al largo di Beirut il Perla individua una corvetta inglese, la HMS Hyancinth, e tenta l’attacco con due siluri. I tiri mancano il bersaglio e la corvetta si dirige verso il sommergibile sganciando delle bombe di profondità. Il sommergibile viene così danneggiato gravemente ed è costretto all’emersione. Il comandate ordina l’evacuazione e appronta le manovre di autoaffondamento. Per via dei danni subiti il sommergibile non affonda nei tempi previsti e gli inglesi, saliti a bordo, interrompono l’affondamento e lo trainano sino a Beirut.
Una volta riparato viene integrato nalla Royal Navy e poi ceduto, nel 1947, alla marina militare greca, restando operativo sino al 1954.
Il Perla ormeggiato a Beirut, ormai in mani inglesi.
Malgrado i suoi insuccessi e le sue sventure il Perla è indiscutibilmente il protagonista di un viaggio leggendario: nelle condizioni in cui si trovava lasciata l’Africa e senza nemmeno essere progettato per l’oceano, riesce in una missione impossibile ed ha per di più l’onore di essere uno dei pochi sommergibili italiani a solcare ancora i mari nel dopoguerra, benché sotto un’altra bandiera.