La disputa per le aree amazzoniche del Brasile

Lo scontro per le terre amazzoniche brasiliane non sembra essersi placato dopo l’elezione del Presidente Lula; verso quale scenario stiamo andando?

 

 

La situazione politica in Brasile sembra essere tutt’altro che equilibrata. Se il neoeletto presidente Lula ha promesso di voler difendere i diritti dell’Amazzonia e delle popolazione indigene che la vivono, la Camera dei Deputati brasiliana, in cui a detenere la maggioranza è ancora la destra di Bolsonaro, la scorsa settimana ha provato a sferrare un duro colpo all’ambiente e alla comunità amazzonica.

I deputati fedeli a Bolsonaro hanno votato a favore del progetto del cosiddetto “Marco Temporal”, ovvero un espediente che permetterebbe al Governo brasiliano di espellere da determinati territorio amazzonici tutte quelle tribù che non saranno in grado di dimostrare di aver vissuto in quei territori prima del 5 Ottobre 1988, ovvero il giorno in cui è stata promulgata la Costituzione brasiliana.

Quello delle terre indigene è un problema che in Brasile non si è mai risolto, e neanche questo Governo Lula sembra essere in condizione di farlo per via non solo dei numeri, ma anche dei probabili interessi economici e infrastrutturali che governano la gestione dell’area amazzonica e le sue innumerevoli risorse e materie prime.

 

 

La società e la politica brasiliana sembrano essere nettamente polarizzate al momento: se da una parte ci sono coloro che vorrebbero una maggiore tutela ambientale e sociale per quell’area, dall’altra ci sono tutti quelli appartenenti alla platea di coloro che dall’area amazzonica vorrebbero ricavare il più alto profitto possibile per il bene dell’economia e della società brasiliane.

Favorire la tutela dei territori degli indigeni nativi e, più in generale, della regione amazzonica per il Brasile vorrebbe dire rivedere parte della sua strategia economica: secondo un’indagine dell’ONG Amazon Watch con Bolsonaro presidente infatti ben 2622 permessi esplorativi erano stati concessi ad aziende nazionali e internazionali ai fini di implementare l’attività estrattiva e, di conseguenza, l’attività di disboscamento.

L’Amazzonia è certamente una regione altamente attrattiva per diversi tipi di industrie, da quella estrattiva a quella agroalimentare (vedere piantagioni di palma da olio), e il profitto che il Brasile genera e potrebbe generare da accordi e concessioni con aziende del settore potrebbe effettivamente apportare un notevole flusso di entrate nelle casse dello stato brasiliano.

 

 

La Foresta amazzonica è però anche e soprattutto il polmone principale del pianeta, oltre che un ecosistema in grado di ospitare al suo interno più di 10.000 specie animali. Sottoporlo ad uno stress di questo tipo potrebbe alterarlo più di quanto non sia stato già fatto, compromettendone i cicli di autoregolazione, le connessioni che intercorrono fra le varie componenti di questo complesso sistema e, di conseguenza, la portata e la qualità del suo effetto benefico per il pianeta.

C’è poi ovviamente il risvolto più antropico della vicenda, ovvero la questione sulla legittimità per gli indigeni di vivere in determinate aree dell’Amazzonia, aree appunto che in molti casi coincidono con territori da sfruttare per l’agricoltura intensiva o ricchi di risorse da estrarre; la loro presenza infatti sembrerebbe essere uno sbarramento per qualsiasi governo intenzionato a sfruttare l’area.

Le delegittimazioni territoriali perpetuate dal Brasile, di ascendenza europea, nei confronti degli Indios nativi sono state molte, e tutte finalizzate all’ampliamento di una più moderna società brasiliana; questo processo sembrerebbe però aver generato non pochi problemi nella comunità indigena, esclusa dai suoi differenti territori per essere poi trapiantata artificialmente in contesti che ne hanno aumentato i gradi di separazione con la società urbana e la sua conseguente marginalizzazione.

 

 

Forse le organizzazioni internazionali interverranno all’interno del dibattito per tentare, vista l’assenza politica del leader Bolsonaro, di convincere la destra brasiliana a rivedere le proprie priorità in relazione alla regione amazzonica, magari facendo pressione soprattutto sulla questione ambientale, vista la maggiore condivisione d’intenti che una tematica così potrebbe suscitare.

A prescindere dalla propria opinione sulla gestione delle risorse ambientali che un Paese dovrebbe avere, ciò che è certo è che questa decisione può essere il simbolo della direzione che la nostra società vuole intraprendere per il futuro, giusta o sbagliata che sia.

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