La crisi interna spinge la Turchia verso Occidente

Il Presidente Erdogan ha da poco iniziato il nuovo mandato presidenziale trovando un Paese diviso e piegato da una forte crisi interna.

 

 

La rielezione del maggio scorso di Recep Tayyip Erdogan come Presidente della Turchia ha segnato un momento di svolta nella politica estera ed economica del Paese ponte tra Europa e Medio Oriente. Già la composizione del nuovo gabinetto di Governo aveva lanciato dei segnali che erano stati accolti con benevolenza a livello internazionale: Hakan Fidan, ex capo dell’intelligence turca, stimato all’estero e considerato il protagonista dell’attivismo geopolitico di Ankara, agli Esteri; Mehmet Simsek, Ministro dell’Economia, noto economista con esperienze lavorative in Europa e negli Stati Uniti, favorevole al libero mercato e alla globalizzazione. Politica estera ed economia, due materie che collaboreranno a gomito stretto nella nuova Amministrazione Erdogan.

Nell’ultima decade, le strategie esterne di Ankara sono state dettate da disegni geopolitici e securitari che, se da una parte hanno cimentato un sentimento di identità e unione nella parte di popolazione più fedele agli ideali del Presidente, dall’altra hanno lasciato la politica economica turca in balia del patriottismo puro e militante piuttosto che delle proiezioni e delle analisi.
Un modus operandi che ha portato ad un divario tra le aspirazioni geopolitiche turche e le proprie necessità economiche, un divario presente in diverse realtà del Medio Oriente che ha necessità oggi di essere colmato.

La difficile congiuntura economica che la Turchia sta affrontando dovrà essere superata trovando fondi ed investimenti; la domanda è dove verranno ricercati. Golfo, Europa, Cina e Russia, quattro direttrici che Erdogan conosce, tutte papabili vie verso una stabilità non solo economica, ma soprattutto politica, che il Presidente persegue. Le elezioni di maggio hanno confermato Erdogan alla presidenza ma si è reso necessario un secondo turno di ballottaggio per nulla scontato; le urne hanno restituito un Paese diviso e il seguito del Capo di Stato è progressivamente calato nel corso del precedente mandato. Il famoso paradigma neo-ottomano di Erdogan, cioè la volontà di guidare i territori dell’ex impero ottomano facendo leva sul nazionalismo oltre confine, che ha guidato la politica turca degli ultimi anni, dovrà essere modulato in funzione del panorama socio-economico del Paese. Uno Stato, per quanto idealmente coeso, deve intervenire per sanare i dissesti economici e assicurare ai cittadini uno stile di vita adeguato prima di perseguire uno scopo così ampio ed identitario.

Recentemente la Turchia ha deciso di votare favorevolmente all’ingresso nella NATO della Svezia, una decisione che ha sbloccato l’impasse creato proprio da Ankara attraverso l’ostruzionismo nei confronti di Stoccolma. Erdogan è uscito dal vertice di Vilnius con lo sblocco dell’acquisto turco degli F-16 statunitensi, bloccato dal Congresso USA per via delle minacce turche alla Grecia, e con il ritorno al dibattito sull’adesione della Turchia all’Unione Europea. Mentre quest’ultima ipotesi sembra ancora lontana dal potersi avverare (il dibattito è in corso dal 1999), Ankara sembrerebbe aver ottenuto anche la fine dell’embargo canadese sulle armi.

 

 

Anche sul conflitto ucraino la Turchia sta cercando di essere protagonista, provando ad essere a favore dell’Ucraina senza essere anti-Mosca per non destabilizzare gli equilibri di potere nel Mar Nero. Quello di Ankara è un ruolo di interlocutore che si pone nel mezzo dei due contendenti mediando su affari vitali come il grano, ma senza aderire alle sanzioni contro la Russia.

La Turchia oggi rappresenta uno degli esempi più importanti di quei Paesi ai margini delle grandi potenze che cercano di emergere come centro di potere. Le aspirazioni revisioniste di Erdogan però si sono scontrate negli ultimi anni con le congiunture economiche che hanno colpito i turchi più di altri; per questo è necessario portare avanti delle politiche parallele che consentano al Presidente di far emergere il peso geopolitico del proprio Paese senza andare contro l’Occidente o le forze ad Est, Cina e Russia. La collocazione geografica e la propria presenza nella NATO sono gli assi nella manica che la Turchia di Erdogan giocherà per emergere nelle sfide geopolitiche globali del futuro, cercando su più fronti vantaggi tanto esterni quanto interni.

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