Anche l’Italia, così come altre potenze europee dell’epoca, ha avuto un possedimento coloniale in Asia: la Concessione italiana di Tientsin, non molto distante da Pechino.
L’inizio della storia coloniale italiana in Cina, se così vogliamo chiamarla, affonda le proprie radici nelle intromissioni europee (soprattutto inglesi) negli affari cinesi, a partire dalla fine delle guerre napoleoniche, durate per tutto il XIX secolo. La suddivisione della Cina in varie sfere europee di influenza dopo le sconfitte subite nelle Guerre dell’oppio, e quindi la sottomissione commerciale prima che politica a quei paesi sì vincitori ma molto lontani culturalmente dalla Cina e dai cinesi, crea un sentimento di insofferenza nella gran maggioranza degli strati sociali, percepita persino nella sfera religiosa. Insieme alle armi europee, all’oppio e ai politicanti, si aggiungono i missionari cattolici che colgono la palla al balzo per fare un proselitismo quasi forzato in virtù della posizione di semi-colonizzatori.
L’insofferenza cinese si coagula ben presto in un sentimento che oggi potremmo definire come xenofobo, catalizzato principalmente nelle scuole di arti marziali, primo nucleo di quella che sarà conosciuta come “rivolta dei boxer”, che prende piede a partire dal 1899, per trasformarsi in rivolta armata solamente un anno dopo con numerosi attacchi ai mercanti e alle delegazioni straniere. La rivolta culmina con l’assedio delle Legazioni di Pechino, dove centinaia di europei rimangono intrappolati. Le potenze europee non tardano ad intervenire, spedendo un corpo internazionale forte di quasi 20.000 uomini nel tentativo di sbaragliare i boxers e ripristinare la situazione. Entro il 1902, il Corpo europeo sconfigge le forze cinesi e mette fine alla rivolta. Al tavolo delle trattative ci sono anche i rappresentanti italiani. L’Italia, infatti, ha appoggiato con truppe e risorse la spedizione europea in Cina e spera di guadagnarci qualcosa: si tratta di un territorio di pochi km quadrati a Tientsin, che diventa de facto territorio italiano in terra cinese. La concessione è infatti una delle molte assegnate alle potenze europee, e quella italiana confina da una parte con quella assegnata ai russi, e dall’altra a quella assegnata agli austro-ungarici.
Quello su cui gli italiani mettono le mani è un territorio piccolo, per lo più paludoso e di conseguenza poco popolato. Inizialmente gli italiani che ci vivono e ci svolgono i loro mestieri e commerci sono davvero pochi tanto che per i primi anni, molti appezzamenti di terra vengono venduti ai cinesi benestanti della zona. Con le truppe italiane in ritirata da Tientsin, il governo non sembra interessarsi a questo lembo di terra italiano in Cina. È solamente dal 1912 che qualche fondo viene stanziato per la creazione di alcune strutture vitali per il mantenimento del controllo. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale significa un’ulteriore riduzione delle forze italiane a guarnigione della Concessione. Una prima svolta si ha però proprio con la vittoria italiana nella Grande Guerra, che permette all’Italia nella metà degli anni Venti di occupare anche la concessione austro-ungarica passata nel 1917-1918 sotto diretto controllo cinese.
L’instabilità politica e militare della Cina degli anni Venti, con le piccole guerre dei signori locali, forza il governo ad inviare nella zona più truppe e navi militari, arrivando persino a creare la Divisione Navale dell’Estremo Oriente. Insieme all’arrivo di questi uomini, viene avviato un piano di sviluppo della Tientsin italiana: sulla scia dell’italianizzazione delle colonie africane, anche qui avviene un processo similare anche se su scala ben minore. Gli edifici vengono infatti costruiti nello stile classico italiano, vengono costruite alcune piazze e un foro, ed entro fine decennio il quartiere italiano si traveste da zona d’élite di Tientsin dove imprenditori, commercianti e politici europei e cinesi si incontrano per discutere di diplomazia ed affari.
I rapporti tra la Cina guidata dal nazionalista Chiang Kai Shek e gli italiani di Tientsin culminano tra il 1932 e il 1936, tanto che viene aperta la prima Ambasciata italiana in Cina, la quale si impegna a diffondere la cultura italiana tra le élite locali. La vicinanza italiana al Giappone imperiale, sempre più concreta a partire dal 1936, fa traballare però i rapporti diplomatici con i nazionalisti cinesi, arrivando a una rottura l’anno seguente, nel 1937, quando l’Italia riconosce formalmente il Manchukuò giapponese sebbene continui a supportare (molto timidamente) la lotta dei cinesi contro i nipponici.
Quando i giapponesi avanzano fino a Tientsin, le Concessioni vengono occupate dai militari. Anche qui, all’Italia, in qualità di alleato vengono concessi alcuni favori: gli uomini possono rimanere all’interno delle caserme e tenere le armi, pur non godendo della possibilità di uscire da Tientsin senza lasciapassare delle autorità imperiali giapponesi. La situazione peggiora drasticamente con l’Armistizio dell’8 Settembre 1943. Le forze giapponesi a questo punto intervengono circondando le caserme italiane, imprigionando i militari. Chi non aderisce alla RSI viene spedito nei campi di prigionia, chi lo fa invece vive da prigioniero nelle stesse caserme, fino all’espulsione, nell’estate 1944, in qualità di civili non nemici. In concreto, la Concessione italiana a questo punto non esiste più.
Dopo la fine del conflitto e la sconfitta del Giappone, l’Italia restituisce formalmente i territori di Tientsin alla Cina, la quale sarà capace nel tempo di mantenere alcuni edifici intatti, ricordo di una convivenza tra due culture lontane, tanto che ad oggi il quartiere italiano è meta turistica e sede di eventi culturali e diplomatici importanti per la relazione sino-italiana.