Il ruolo del mercato unico per la competitività europea

Quali sono i principali punti chiave sulle difficoltà delle aziende europee e quali sono le priorità all’interno del più ampio disegno di mercato unico?

 

 

La competitività del vecchio continente passa attraverso il risanamento del mercato unico; non è un caso che lo scorso giugno il Consiglio Europeo abbia incaricato Enrico Letta di redigere un report sul suo futuro. A settembre dello stesso anno, il Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha affidato all’ex premier italiano Mario Draghi la redazione di un rapporto sulla competitività europea da presentare a fine giugno, dopo le elezioni europee.

L’interesse rispetto al tema è evidente tanto quanto il divario tra l’UE e i suoi competitor, come gli USA, dettato da un’incompletezza nel mercato unico europeo che non include ancora tre aree fondamentali: energia, finanza e telecomunicazioni (divario di cui abbiamo parlato poche settimane fa).

Oltre a questi settori, l’UE deve essere in grado di reperire i finanziamenti necessari per l’innovazione e la liberalizzazione di difesa e sicurezza, al pari di quanto fatto dagli Stati Uniti con l’Inflation Reduction Act (IRA). In questo senso, l’integrazione del mercato unico può rappresentare un fattore chiave per garantire la competitività delle imprese europee a livello internazionale. L’obiettivo è quello di mobilitare i risparmi degli europei creando una sorta di Unione degli investimenti, con l’intento di trattenere in Europa il risparmio privato dei cittadini attirando al contempo risorse aggiuntive dall’estero.

Uno degli aspetti frenanti di questo disegno è la definizione di un sistema di supervisione bancaria a livello unionale a discapito delle rispettive autorità nazionali; a questo si aggiunge il fatto che i risparmi privati non saranno sufficienti a soddisfare le esigenze di finanziamento future stimate; ciò rende necessario il ricorso ai cosiddetti aiuti di Stato. Pertanto, la soluzione auspicata è un sistema di contribuzione che richieda agli Stati membri di destinare una parte dei loro fondi nazionali al finanziamento di iniziative e investimenti paneuropei; un’ipotesi però difficile da far digerire per il momento a una parte dei Paesi UE.
In questo contesto, le imprese europee devono far fronte anche ad ulteriori difficoltà dettate dall’inflazione ed al relativo aumento dei prezzi, nonché dall’aumento dei tassi di interesse che incide fortemente sui costi di finanziamento. Il costo del debito diventato rapidamente inaccessibile rimane un tema centrale, con ricadute sugli investimenti di capitale e sulle assunzioni. In generale, settori come l’industria, la sanità, la vendita al dettaglio e l’immobiliare sono risultati più in difficoltà in quanto maggiormente esposti alla leva finanziaria e ad alta intensità di capitale.
Oltre al settore di appartenenza, le difficoltà sono legate anche alle dimensioni delle aziende, con crescente disparità tra le piccole e le grandi imprese a discapito delle prime, e questo perché le imprese più grandi, a parità di condizioni di mercato, beneficiano di opzioni di finanziamento e riserve di liquidità maggiori, con conseguenti elevati livelli di flessibilità nella gestione dei capitali. Di contro, le aziende più piccole risultano molto più esposte ai continui aumenti dei tassi di interesse e ai rating di credito più bassi.

 

 

Ma la ragione di livelli di competitività europea non ancora aggressivi ha radici più profonde. Come puntualizzato anche da Mario Draghi, ad oggi l’UE è pensata e organizzata sulla base del mondo di ieri, precedente alla pandemia, al conflitto in Ucraina e a quello in Medio Oriente. Oltre alla creazione di un sistema energetico decarbonizzato affidabile, di una difesa integrata e di una produzione interna autonoma nei settori tecnologici e innovativi, manca quell’Unione dei mercati dei capitali che possa rendere l’UE attrattiva per gli investimenti, anche esterni; e questo perché ad oggi i risparmi privati, seppur elevati, vengono depositati in fondi bancari piuttosto che convergere in un mercato di capitali ampio che possa finanziare la crescita dell’Unione. Ciò rende l’unione dei mercati dei capitali il fattore indispensabile all’interno della più ampia strategia per la competitività europea.

Un altro tema da considerare è la lotta alla competitività interna. La crescita nel lungo periodo deriva dall’aumento della produttività complessiva a vantaggio di tutti gli Stati membri piuttosto che dal tentativo di ognuno di essi di migliorare la propria posizione individuale, nel tentativo di acquisire la loro quota di crescita con l’effetto di indebolire la domanda interna e minare il modello sociale. Paradossalmente, la competizione è maggiore in settori quali la difesa e l’energia in cui vi sono profondi interessi comuni e, al contempo, la competitività verso l’esterno non è ancora considerata come una seria questione politica. Il vero vantaggio dei nostri competitor è dettato dal fatto di agire come un unico Paese, secondo una strategia cui allineare gli strumenti e le relative politiche. Sarebbe necessario ridefinire i rapporti di collaborazione tra gli Stati membri, ad esempio, attraverso strumenti di coordinamento delle politiche economiche capaci di garantire coerenza tra i diversi strumenti e, qualora ciò non fosse possibile, procedere a creare cooperazioni rafforzate tra sottoinsieme di Stati membri con caratteristiche politico-economiche comuni.
In generale, la competitività non è un concetto errato; è il focus che andrebbe ritarato verso l’esterno piuttosto che internamente all’UE. E questo andrebbe fatto rapidamente.

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