Il Regno delle Ryukyu; quando Okinawa non era ancora giapponese

L’arcipelago delle Ryukyu, con Okinawa come isola maggiore, ha avuto una storia a sé e decisamente diversa dal resto del Paese.

 

 

Una serie di piccole isole sembrano formare una catena irregolare tra la grande isola giapponese di Kyushu e Taiwan, a separare il Mar Cinese Orientale dal resto del vasto Pacifico. Oggi, queste isole dell’arcipelago delle Ryukyu, sono parte integrante del moderno Giappone, e Okinawa, la più grande delle isole e centro amministrativo, sociale e politico, rappresenta l’emblema di un processo di assimilazione quasi del tutto compiuto. Agli occhi di un comune turista, Okinawa rappresenta uno dei tanti nomi attribuibili al Giappone e alle sue città e isole. Tuttavia, la storia delle Ryukyu, almeno fino a un certo momento, segue un corso completamente diverso rispetto al Giappone dei samurai e degli Shogun, di Kyoto, Nara e Kamakura.

Abitate da popolazioni autoctone di lingua proto-giapponese, l’isolamento pluri secolare, se non millenario, fa sì che gli abitanti delle Ryukyu non solo sviluppino diversi dialetti a seconda delle isole, ma trasformino il proto-giapponese in una lingua mutualmente non comprensibile con il giapponese delle grandi isole, quello moderno per intenderci. Le condizioni geografiche, e quelle climatiche fanno sì che la storia dei gruppi umani delle Ryukyu si sviluppi più lentamente rispetto al Giappone vero e proprio. A cavallo del nuovo millennio, subito dopo il 1000 dopo Cristo, si assiste alle prime forme di società organizzate e basate sull’agricoltura e su nuovi signori locali a capo di villaggi e comunità, una nascente élite (Aji) che inizia a costruire e a vivere in strutture simili a castelli, eretti sulle sommità intorno ai villaggi sottomessi: i “gusuku”. Lo spazio limitato e la presenza di molti signori locali, alimentano piccole guerre locali.

Intorno al quattordicesimo secolo, i tre piccoli principati dell’isola di Okinawa, Hokuzan, Chuzan e Nanzan, mettono da parte le rivalità e per la prima volta riuniscono le loro forze e creano il primo regno unificato, con Chuzan come parte più potente ed economicamente più stabile di Okinawa. È in questo momento di tanto attesa stabilità che si hanno i primi veri contatti con delegazioni estere. Importantissimo per lo sviluppo di Ryukyu è il contatto con la Cina, la quale invia molte delegazioni e persone a stabilirsi definitivamente sulle isole. Il prolungato contatto permette agli autoctoni di fare passi da gigante nella navigazione e nel commercio, mentre l’influenza della corte cinese cresce sempre di più, tanto da mettere i ryukyani in una posizione di felice sudditanza. 

Molto presto, i tre principati uniti arrivano allo scontro per la supremazia totale dell’isola di Okinawa e ancora una volta decisiva è l’ingerenza cinese, la quale assegna il primato al Chuzan ed assegna ad Hashi il titolo di Re. Entro il 1430, Hashi occupa stabilmente gli altri due principati ed unifica questa volta in tutto e per tutto l’isola di Okinawa, dando inizio al Regno delle Ryukyu. 

 

 

Hashi edifica il castello di Shuri, luogo famoso anche per essere stato al centro di terribili scontri tra statunitensi e giapponesi nel 1945, e amplia la propria capitale Naha. Il regno accresce la propria ricchezza e sviluppa un’identità culturale ben definita, nonostante di fatto esso sia uno stato tributario della dinastia Ming cinese che si riflette nell’organizzazione politica delle Ryukyu. Per due secoli il Regno di Ryukyu prospera grazie ai profittevoli commerci con il Sud-Est asiatico, possibili grazie all’ingente apporto di navi e rotte cinesi condivise con gli isolani. Grandi ricchezze garantiscono stabilità e prosperità a Ryukyu, che gode dell’apporto culturale di tante ricche civiltà vicine. Intorno alla metà del ‘500 tuttavia qualcosa cambia: da una parte, la concorrenza dei nuovi mercanti europei (portoghesi in primis) si fa sempre più forte e toglie importanti introiti alle casse del regno; in secondo, il Giappone riunificato e finalmente stabilizzato, mira all’espansione del proprio territorio e punta lo sguardo sulla penisola coreana. Un primo momento di frizione si ha proprio quando il Regno di Ryukyu rifiuta la richiesta di aiuto militare giapponese nella campagna coreana, intorno al 1590, e avverte la corte cinese delle ambizioni giapponesi prima in Corea e poi nella stessa Cina. In aggiunta a questo, la Cina che da secoli ha visto le proprie coste attaccate dai pirati giapponesi e si è trovata a competere con il vicino Giappone, decide di interrompere ogni rapporto commerciale con Kyoto. 

All’inizio del ‘600, il nuovo sovrano giapponese, Ieyasu (che abbiamo già incontrato raccontando le vicende di William Adams), incarica il clan Shimazu, signori di Satsuma, di organizzare la conquista delle isole Ryukyu. Nel 1609, forze giapponesi, munite di armi moderne grazie al prolifico scambio tecnologico con gli europei riescono in pochi mesi a sconfiggere gli autoctoni e ad occupare le principali isole. Nel tentativo di evitare che la Cina si muova contro il Giappone e tentando di accaparrarsi i benefici commerciali con la Cina stessa dei quali Ryukyu gode, e ormai preclusi ai giapponesi, questi ultimi di fatto mascherano l’occupazione lasciando il Regno di Ryukyu apparentemente indipendente e muovendo i fili politici da dietro le quinte. Si parla infatti di una sorta di doppia subordinazione, con Cina e Giappone, tanto che alla metà del secolo gli stessi shogun autorizzano un rinnovo tributario delle Ryukyu con la Cina, tutto comunque a beneficio commerciale di Kyoto. Per mantenere la parvenza di totale indipendenza del regno agli occhi dei cinesi, ai giapponesi stessi viene vietato di recarsi sulle isole senza il consenso degli shogun, e gli usi e costumi giapponesi, così come l’uso del giapponese standardizzato, vengono vietati alle popolazioni autoctone. 

 

 

Questo strano gioco di relazioni commerciali e politiche va avanti fino alla metà dell’800 quando, dopo due secoli e mezzo, il Giappone si riapre al mondo con la fine dello shogunato e l’inizio dell’era Meiji. L’imperatore giapponese sul finire degli anni settanta del secolo scioglie de facto il regno e ne incorpora il territorio nella Prefettura di Okinawa, ponendo ufficialmente fine a cinquecento anni di indipendenza formale. Il Re, Sho Tai, si vede costretto ad abdicare e, come riconoscimento, la famiglia imperiale di Tokyo gli garantisce titoli nobiliari nella nuova realtà politica. La Cina, devastata dalle intromissioni europee, non ha la forza di reagire e reclamare qualsiasi forma di possesso delle Ryukyu. 

Dal 1870 al 1945 assistiamo ad una forzata conversione agli usi e costumi della nazione giapponese: viene vietato l’uso della lingua autoctona, e le scuole statali assumono un ruolo fondamentale nell’inculcare la nuova cultura ai giovani ryukyani. Tutto ciò che differenziava le due Nazioni, un tempo fonte di orgoglio e di proficuo scambio, viene ora visto come un male da estirpare e da standardizzare a tutti i costi.

Oggi assistiamo ad un tentativo di recuperare e preservare quanto rimasto della cultura Ryukyu, quel poco non andato ancora distrutto.

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