Dal 1993 il Nagorno Karabakh è un piccolo Stato di fatto indipendente; nelle ultime settimane però la sua indipendenza sembra destinata a tramontare.
Lo Stato separatista del Nagorno Karabakh è un territorio conteso fra due entità statali contigue ma tremendamente distanti in termini socio-culturali: ad est l’emergente Azerbaijan, un Paese a maggioranza musulmana sciita che grazie all’esportazione delle sue materie prime energetiche sta lentamente scalando posizioni all’interno del contesto politico-economico europeo; ad ovest invece l’Armenia, Paese dalla profonda cultura e storia cristiana, economicamente meno sviluppato dei vicini ma con una spiccata trazione identitaria al suo interno (viste anche la atrocità subite dal popolo armeno nel corso della storia che lo hanno costretto a ben due diaspore).
La Russia, secondo gli accordi previsti, avrebbe dovuto vigilare sul territorio del Nagorno Karabakh affinché la sua indipendenza non venisse lesa e non si verificassero scontri armati fra Azeri e Armeni; tuttavia l’impegno militare della Russia in Ucraina ha creato un enorme vuoto all’interno della catena di controllo, e gli Azeri ne hanno recentemente approfittato, occupando militarmente parte del territorio del Nagorno Karabakh, compresi la capitale Stepanakert e il corridoio di Lachin (unica via di comunicazione ed approvvigionamento Armenia – Karabakh).
Gli Azeri sono probabilmente molto più preparati e attrezzati a livello militare rispetto all’esercito autonomo del Nagorno Karabakh, e così l’offensiva delle ultime settimane non ha trovato grandi resistenze alla sua avanzata, soprattutto alla luce della decisione presa dall’esercito russo stanziato nel territorio di non muoversi dalle proprie basi; in seguito all’occupazione militare azera del Nagorno Karabakh, giovedì della scorsa settimana si sono tenuti i negoziati fra le autorità azere e quelle dello Stato separatista, con lo scopo di garantire agli armeni del Karabakh un certo grado di sicurezza e libertà culturale.
Il governo Azero dal canto suo sembrerebbe aver promesso alla popolazione armena residente nello Stato separatista sicurezza, libertà di culto e godimento dei diritti civili; tuttavia gli esperti internazionali sembrerebbero essere preoccupati per il futuro degli armeni del Karabakh, vista la tendenza del presidente Ilham Aliyev (in carica dal 2003) a reprimere sistematicamente diritti civili e libertà politiche con metodi tutt’altro che ortodossi.
Il vero problema di questa vicenda è però probabilmente il sistema di alleanze ed interessi comuni che si celano sotto le vicende geopolitiche del Nagorno Karabakh: per questioni energetiche e geografiche infatti, i maggiori attori internazionali sembrerebbero più interessati a non immischiarsi nella complessa situazione Karabakh per evitare di inimicarsi uno Stato chiave com’è attualmente quello azero.
La Turchia è culturalmente e storicamente un solido alleato azero fortemente inviso agli armeni; lo Stato d’Israele ha esportato armamenti in Azerbaijan con lo scopo di rendere la nazione caucasica un alleato altamente strategico in chiave Iran; l’Italia è invece uno dei maggiori partner commerciali dell’Azerbaijan, con Baku che esporta quasi il 50% del suo gas verso il Bel Paese in seguito a degli accordi presi con il colosso energetico di ENI.
L’Armenia dal canto suo non ha preziosi asset strategici da scambiare in cambio di protezione internazionale, e la sua scarsa propensione al militarismo può non essere un punto a favore in un contesto come quello caucasico purtroppo; lo Stato di Yerevan si trova dunque in una situazione di isolamento semi-totale sia sul piano puramente geografico che in quello geopolitico.
La sicurezza della popolazione armena in Karabakh parrebbe non essere prioritaria in proporzione al rischio che corrono alcuni fra gli Stati più influenti del continente euro-asiatico di perdere risorse energetiche e partner geopolitici; sembrerebbe dunque che la discriminante che in questa situazione guida le coscienze dei vari Stati non sia la tutela dei diritti di una popolazione che ha già subito un genocidio, ma il proprio interesse nazionale da perseguire nonostante tutto.
In un mondo utopistico in cui le alleanze economiche si dovrebbero fermare sull’uscio dei diritti civili, l’umanità non dovrebbe mai essere negoziabile.