Se decidi di fare cinema, la qualità delle riprese la devi considerare. Forse non lo sapeva Marco Simon Puccioni che devasta una grande idea.
Sarebbe stato una bomba il fatto di voler raccontare una crisi coniugale di due uomini (sì, tutti e due col pisello!), felici e innamorati per vent’anni in un paese bigotto come l’Italia. Ed sarebbe stato intelligente farlo attraverso gli occhi del loro figlio adolescente Leone. Ma un film non è un libro e non può prescindere dalla regia (c’è?), dalla fotografia (c’è?) e dal montaggio (c’è?). E pensare che le premesse erano ottime.
I due papà de’ Il Filo Invisibile, infatti, sono l’immenso Filippo Timi e il sempre più bravo Francesco Scianna. Un colpo da novanta che avrebbe dovuto mettere il regista al sicuro da cattive interpretazioni. Non solo. Trovare la giusta faccia del ragazzo era una questione insidiosa (il rischio era scegliere un bellone ma inutile) e invece il ruolo se l’è aggiudicato un ottimo Francesco Gheghi che sarà pure figlio di un pizzaiolo, ma davanti alla telecamera ci sa stare bene eccome. Ed è pure bello. Fatto il cast, “all’improvviso il dramma”, come direbbe il Frengo di Antonio Albanese.
Dopo pochi minuti di visione del lungometraggio, infatti, salta all’occhio una fotografia semplicemente penosa. Ci sono dei filmini dei 18 anni fatti da improbabili zii più curati di questo film: luci messe ad minchiam, incarnati così realistici da voler quasi consigliare una crema anti acne, location troppo buie o troppo bruciate. Se il direttore adibito a controllare il tutto sembra aver battuto (forte) la testa, non è che Marco Simon Puccioni faccia un figurone.
La telecamera sta ferma e nulla fa. Non c’è mai una trovata interessante, un primo piano inatteso, una soggettiva suggestiva. Sembra il lavoro di un collega a caso che ha sostituito di nascosto l’assenza ingiustificata del regista. Il tutto è così banale, in anni in cui persino l’ultima delle serie tv mostra inquadrature degne di nota, che la bravura del trio protagonista a stento salva la baracca. Te lo guardi fino alla fine perché, come detto in apertura, l’intreccio è insolito e hai voglia di sapere come va a finire, ma forse bastava un audio libro.
Unico scivolone della trama è il colpo di scena finale su Leone che si capisce dieci minuti prima che accada. Il capezzale ospedaliero è una trovata trita e ritrita. Peccato. Chissà cos’è passato nella testa dei due attoroni Timi e Scianna quando, alla prima, hanno visto come sono state trattate le riprese. Probabilmente come quando esci con una che in chat sembra una figa e invece è un bel bidone. Purtroppo il titolo resterà agli atti di entrambi ma il talento è così evidente che sapranno seppellire l’inciampo con lavori sempre più belli e di qualità.
L’unica ragione per cui Il Filo Invisibile strappa la sufficienza è il merito, limiti a parte, di aver trattato un tema ancora poco battuto da noi. Come vivono i figli delle coppie gay? La risposta sta tutta nel personaggio di Leone, non a caso tra le cose che si salvano in questo Titanic.