Il caso Venezuela, la sinistra sudamericana e l’ombra di Pechino: spie d’allarme per Washington?

Il governo di Nicolas Maduro in Venezuela sembra essere sempre più solido; di riflesso l’economia del Paese è in ripresa, nonostante le sanzioni americane.

 

 

Il governo ad interim di Juan Guaidó è terminato in seguito al voto del Parlamento venezuelano di fine gennaio; la volontà dei politici venezuelani, e quindi (ci auguriamo) dei cittadini, si è manifestata attraverso una votazione che ha spodestato il governo del politico venezuelano riconosciuto da 60 Paesi nel mondo e fortemente voluto e spalleggiato dagli USA.

La situazione politica venezuelana rimane comunque intricata, ma il bandolo di questa matassa sembrerebbe essere ancora il presidente eletto nel 2013, Nicolas Maduro: a differenza del suo ex collega, Maduro è stato osteggiato e criticato dalle autorità politiche americane per la sua ideologia chavista, caratterizzata da filosofie politiche anti-americane come il bolivarismo, il terzomondismo e il nazionalismo di sinistra.

Il Paese, dopo anni di instabilità politica e di recessioni economiche, pare si stia assestando attraverso l’aumento della produzione petrolifera, incrementata nel 2022 di venti punti percentuali rispetto all’anno precedente; ovviamente sono dati che vanno contestualizzati all’interno di uno scenario che fino a due anni fa appariva come catastrofico, in cui anche il più piccolo miglioramento può essere un pretesto per gridare al miracolo.

 

 

La ripresa dei colloqui da parte del governo Maduro con attori internazionali come la Francia di Macron sembrerebbe tuttavia confermare l’andamento positivo dell’economia del Paese venezuelano, considerato, in condizioni stabili, un partner energetico ottimale date le sue ampie riserve di petrolio.

Il rilancio economico del Venezuela di Maduro, unito allo sbocciare di governi di sinistra in quasi tutto il Sudamerica (Venezuela, Perù, Brasile, Cile, Colombia) e in Messico, è una spia d’allarme per gli Stati Uniti, che da più di un secolo tentano di controllare indirettamente la politica e il prezioso suolo sudamericano tramite il sostegno a politici locali loro alleati, come nel caso proprio del Venezuela con Guaidó.

Gli Stati Uniti probabilmente percepiscono anche in questo continente l’avanzata del dragone cinese di Xi Jinping, che tramite accordi commerciali e partnership politiche (come quella fra la China National Petroleum Corporation e la Petroleos de Venezuela S.A.), sta aumentando la sua incidenza nel continente sudamericano; per impedire, o quantomeno arginare, questa influenza gli Stati Uniti dovranno quasi sicuramente scendere a compromessi con i vari governi di matrice socialista che governano in questo momento in Sudamerica.

 

 

Il continente sudamericano per la Cina può essere una nuova Africa, ovvero un continente da assicurarsi tramite aiuti e implementazioni tecnologiche, economiche e infrastrutturali che non solo aiutino lo sviluppo locale, ma che permettano anche alla Cina di penetrare in profondità nei vari Stati tramite società controllate direttamente o indirettamente da Pechino; lo scopo sembrerebbe essere sempre quello di estromettere o di minimizzare l’influenza americana nell’area.

Gli Stati Uniti dovranno con molta probabilità rivedere la metodologia con la quale intendono esercitare una certa influenza nell’area in questione ora che la Cina sta offrendo a quegli stessi Paesi una nuova possibilità che prima d’ora non si era mai manifestata: la possibilità di stabilire legami commerciali e politici forti slegati dalla sudditanza più o meno manifesta verso lo Stato nordamericano.

Il governo americano probabilmente si vedrà costretto a rivedere le sue strategie d’influenza e controllo nel continente sudamericano; un approccio più soft dunque, che tenga in considerazione le effettive necessità dei Paesi sudamericani e non solo le volontà egemoniche degli Stati Uniti, soprattutto ora che non sembrano essere più l’unico competitor politico in quest’area così come nel panorama geopolitico mondiale in generale.

 

 

La nuova strategia americana potrebbe partire da quei Paesi con un passato politico non prettamente socialista e legati maggiormente al gigante nordamericano, come Colombia e Messico. Attraverso questi Paesi dovrà quindi dimostrare un nuovo interesse per l’area al fine di assicurarsene il controllo; questo interesse dovrà a sua volta essere modulato attraverso dei nuovi parametri e non tramite l’influenza diretta, e talvolta violenta, esercitata in passato (vedi caso Allende).

La partita fra Cina e USA passerà anche da qui, e il Sudamerica sembra essere di nuovo un territorio di conquista.

Per condividere questo articolo: