Hamas attacca Israele: perché adesso?

Dopo decenni di conflitto, Hamas ha deciso di sferrare un attacco senza precedenti contro Israele sfruttando le debolezze domestiche del nemico.

 

 

La mattina del 7 ottobre scorso il gruppo terrorista palestinese Hamas ha lanciato un’offensiva via aria, via mare e via terra nei confronti di Israele, innescando una serie di combattimenti che sono tutt’ora in corso. Mentre si contano migliaia di morti su entrambi i fronti, i confini del conflitto si stanno allargando a Siria e Libano, territori da cui sono partiti nuovi attacchi verso il territorio israeliano.
Una nuova tappa nel decennale conflitto israelo-palestinese che rischia di diventare l’episodio più cruento dal 1948, nascita dello Stato di Israele; questo attacco scoperchia inoltre tendenze sopite ma palesi in tutto il Medio Oriente, mettendo in luce il momento di debolezza che Tel-Aviv sta affrontando.

Un attacco così ben studiato e su larga scala non è stato improvvisato. L’incursione di Hamas ha portato allo sfondamento delle forze di difesa perimetrali israeliane, inoltre i combattenti palestinesi hanno utilizzato velivoli rudimentali come deltaplani volando per chilometri in Israele senza poter godere di altopiani da cui lanciarsi, uno sforzo che ha richiesto sicuramente anni di preparazione e addestramento mirato.
Tra i fattori locali che hanno influito c’è da annoverare sicuramente il processo di pacificazione tra Israele e Arabia Saudita, ultimo passo degli Accordi di Abramo sponsorizzati dagli USA di Donald Trump per la normalizzazione dei rapporti tra Tel-Aviv e il mondo arabo sunnita. La possibile pacificazione tra Riyadh e Israele minerebbe il sentimento di solidarietà tra i popoli arabi saudita e palestinese.

 

 

Tra i motivi endogeni va annoverato sicuramente l’indebolimento israeliano dovuto alla forte crisi interna che il Paese sta attraversando: una lacerazione nella vita politica di Tel-Aviv che ha contagiato l’apparato giudiziario e la questione palestinese e che ha incrinato la fiducia degli stessi cittadini israeliani nei confronti delle proprie istituzioni. I gravi disordini interni affrontati da Israele nell’ultimo anno sono stati i più importanti della sua storia e hanno costretto i servizi segreti a concentrarsi sulle questioni domestiche; un riposizionamento di energie e risorse che hanno permesso ai miliziani di Hamas di lanciare un attacco che ha umiliato l’intelligence israeliana, da sempre ritenuta tra le più virtuose al mondo.

Lo scontro tra Israele e Hamas rappresenta un duello asimmetrico in cui la sproporzione di forza e mezzi è tutta a favore dei primi; e proprio per questo sorge spontanea un’altra domanda: Hamas ha agito da solo?

 

 

Hamas è un gruppo terrorista nato in contrapposizione agli interventi israeliani nella striscia di Gaza; il nome compare per la prima volta nel 1987 in un volantino propagandistico ma le origini del gruppo si devono rintracciare nel movimento islamista dei Fratelli Musulmani di origine egiziana. Questa provenienza ha permesso ad Hamas di mantenere solidi rapporti con diversi gruppi islamici in tutto il mondo, in particolar modo con Libano e Iran; proprio quest’ultimo è stato da subito accusato di aver finanziato e addestrato gli estremisti palestinesi, preoccupato per il processo di pacificazione di Israele con il mondo arabo sunnita e per i legami storici tra Teheran ed Hamas. Sebbene gli indizi rendano il fatto probabile, la certezza non può essere ancora data.

L’attacco è avvenuto all’indomani del cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, suggellando nel mito della ricorrenza un evento tanto catastrofico quanto significativo.
I motivi che hanno portato all’escalation di questo conflitto mai cessato sono molteplici e stanno lasciando il passo a quello che ci riserva il prossimo futuro. L’appoggio incondizionato dell’Occidente ad Israele, in particolar modo degli Stati Uniti, sembrerebbe lasciare briglie sciolte alla controffensiva israeliana. A livello internazionale la soluzione preferita sarebbe quella dei due Stati ma senza un raffreddamento del conflitto il rischio è quello di non avere più un popolo palestinese.

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