Ha senso giocare con l’Atari 2600 nel 2022?

Mito negli anni ’70-‘80, console budget nei primi anni ‘90, relegata in cantina a fine millennio. Qual è adesso il suo posto nel mondo?

 

 

“Atari? Magari!” Così recitava lo slogan di un iconico spot all’inizio degli anni ‘80, quando il videogioco stava conoscendo una folle popolarità alla quale sarebbe succeduto un tracollo di dimensioni clamorose. L’alfiere del divertimento elettronico era la Atari, che con il suo Video Computer System (conosciuto ai più come 2600) aveva trasformato i suoi vecchi Pong in una console a cartucce intercambiabili, che aveva ancora molti limiti hardware dei suoi predecessori ma al tempo stesso introduceva suoni e colori del tutto inediti sul televisore di casa. Grazie ad una scelta di software portato direttamente dalle sale giochi, la macchina con i profili in finta radica arredò le case di tantissimi americani ed europei, diventando istantaneamente un mito. La già citata crisi e l’avanzamento dei computer la resero presto obsoleta, ma grazie al costo progressivamente minore e al numero di cartucce disponibili riuscì a rimanere sul mercato per ben 15 anni, passando attraverso 6 revisioni e seppellendo i due più potenti successori, il 5200 e il 7800.

 

La conversione di Pac-Man fu una gran delusione, basta guardare l’immagine per capire il motivo.

 

Dato il numero pazzesco di unità vendute, è facile ancora oggi trovarne uno in giro, magari con un pugno di cartucce a corredo, oppure imbattersi nei numerosi tributi ad esso dedicati sotto forma di collezioni emulate su altre console o mini console come l’Atari Flashback. Ma in un periodo storico dove i caschi per la realtà virtuale sono normalmente disponibili nei negozi e gli attori in carne ed ossa vengono riprodotti nei dettagli e inseriti come personaggi nei videogiochi, ha senso mettersi a giocare con una manciata di pixel grandi come una moneta da due centesimi? E data l’età media del videogiocatore attuale, cresciuto presumibilmente con le macchine Sega, Nintendo e Commodore, ci sono davvero in giro persone che hanno più nostalgia di Sword Quest rispetto a quanta ne abbiano di Super Mario Bros, Turrican o Outrun?

 

Breakout era una variazione sul tema di Pong, ma più colorata e giocabile da soli.

 

Per capirlo dovremo fare un altro salto indietro, precisamente nel 1979. Stufi di essere considerati dei normali impiegati, i programmatori più talentuosi di Atari se ne andarono sbattendo la porta per formare la Activision. Liberi di esprimere il loro talento, svilupparono una serie impressionante di titoli che non solo sfruttavano il modesto hardware in maniera mai vista, ma erano anche molto più divertenti di tutto ciò che c’era prima. Ad esempio Pitfall!, vero cult dell’epoca e tuttora emblema del VCS, era un platform colorato, pieno di diverse dinamiche e con una struttura di gioco a più livelli e schermate differenti. Un bel salto avanti rispetto al pur iconico Adventure, che rappresentava un’ambientazione simile utilizzando uno sprite quadrato per il protagonista. Oppure River Raid, uno sparatutto la cui area di gioco veniva generata proceduralmente, potendo così essere giocato all’infinito senza dover ripetere sempre le stesse mosse, che improvvisamente rendeva totalmente inutili Space Invaders e compagnia bella.

 

Con Pitfall!Activision stabilì il proprio dominio su Atari VCS.

 

Un bel passo avanti nella tecnica e nella giocabilità quindi, ma il troppo successo tende a dare alla testa. Atari pensò bene di capitalizzare al massimo ogni singolo nome altisonante sicura di vendere comunque quintali di copie, e titoli attesissimi basati su arcade di grande richiamo (Pac Man, Donkey Kong) e licenze cinematografiche importanti (il famigerato E.T.) delusero profondamente i giocatori per colpa di tempi di sviluppo troppo ristretti e budget al ribasso. Quando la fine sembrava essere imminente, il mitico Jack Tramiel, già presidente di Commodore, ebbe l’intuizione di mantenere viva la console come sistema economico, prolungandone la vita e dando modo ai programmatori di continuare a lavorare su un hardware di cui ormai conoscevano praticamente ogni segreto. Uscite del calibro di Solaris, Desert Falcon, Road Runner e Xenophobe spostarono l’asticella in un punto inimmaginabile un decennio prima, e mentre il mondo ammirava le meraviglie prodotte dalle macchine a 16 bit, chi ancora possedeva questo curioso elettrodomestico da salotto aveva ancora di che divertirsi.

 

River Raid ci mostra uno dei suoi iconici ponti sul fiume. Divertente da giocare anche nel 2022.

 

Subito dopo la dipartita del 2600, arrivò una pletora di cloni di dubbia fattura ma sicuro valore ludico, ed iniziarono a comparire su altre console collezioni di grandi classici targati Atari, mantenendo viva la fiammella dell’interesse verso l’era pionieristica del videogioco. Si trattava inizialmente di conversioni realizzate adattando i codici sorgente, ma ben presto fu ritenuto più comodo e veloce fare riferimento all’emulazione, dal momento che il sistema era ormai talmente obsoleto da richiedere requisiti bassissimi per essere riprodotto fedelmente. Già, perché nel frattempo la diffusione dei PC nelle case di tutto il mondo era inarrestabile, e se giocare col Super Nintendo dal proprio IBM richiedeva almeno un processore Pentium (inserire qui l’iconico jingle) neanche troppo basilare, avere a portata di click l’intera libreria del VCS non comportava alcun ulteriore esborso per chi non era pronto ad investire in un nuovo computer. Ecco che una biblioteca di classici del passato iniziava ad aver senso anche nel presente come diversivo tra un foglio di calcolo ed una sessione di programmazione.

 

Val la pena di giocare a Solaris anche solo per vedere l’incredibile realizzazione tecnica.

 

Arriviamo quindi ai giorni nostri: i diritti dei titoli più famosi vengono ancora sfruttati con collezioni più o meno ampie per console e piattaforme digitali (notevole la presenza di Atari Vault su Steam, con 100 giochi completi di documentazioni originali e miglioramenti per renderli sopportabili al giocatore più giovane), e la serie di console dedicate Atari Flashback ha raggiunto la sua decima incarnazione, senza contare le edizioni speciali e quelle portatili. È ancora così forte la richiesta di mercato per videogiochi vecchi di quarant’anni? Probabilmente no, ma con un’offerta così ampia è facile avere almeno la tentazione di provarli, e se magari un ragazzino potrebbe restare spiazzato e forse disgustato da tanta semplicità e pochezza audiovisiva, un giovane adulto riuscirà sicuramente ad avere il suo quarto d’ora di divertimento e risate. La struttura a livelli infiniti della maggior parte delle cartucce è poco adeguata ai gusti ed alle abitudini odierne degli appassionati, ma scavando bene tra le centinaia di alternative si possono trovare anche delle piacevoli eccezioni che, al netto di una realizzazione tecnica primitiva, possono regalare ancora tanto divertimento.

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