La deriva di Matt Damon su film d’azione genera solitamente risultati fiacchi, ed anche stavolta il risultato è mediocre.
Matt Damon ha iniziato la sua carriera con film profondi e di impegno sociale. Da The Rainmaker a Promised Land, passando per Will Hunting, l’attore americano ha consolidato la stima dei più nei suoi confronti; sempre abile nel calare nel personaggio e nel dargli una nota personale. Accanto a queste produzioni più serie, Matt Damon ha partecipato a tutta una serie di film d’azione (o anche grotteschi, come Dogma): Salvate il Soldato Ryan, la serie di Bourne, i vari Ocean, i fantascientifici Elysium, Interstellar e The Martian… e tanti altri. La maggior parte di questi film sono di ottimo livello; ma a volte capita il risultato non sia all’altezza. È il caso di questo Green Zone.
Ambientato durante la seconda guerra del Golfo, vediamo Matt Damon interpretare un ufficiale a capo di una squadra addetta alla localizzazione e rimozione delle armi di distruzione di massa. Frustrato dalle continue erronee segnalazioni fornite dalla propria intelligence, verrà approcciato dai servizi segreti per iniziare a lavorare sulla questione in maniera parallela e sotto traccia. Ben presto certi attriti fra i vari gruppi di potere verranno a galla, mettendo a rischio la vita dell’agente speciale.
Il film appartiene a quella categoria delle occasioni mancate: ci sono diverse buone intuizioni, ed altre idee che contribuiscono fortemente a far calare la qualità complessiva. Andiamo per ordine.
La parte iniziale è molto interessante. I movimenti di copertura ed esplorazione della squadra in azione sono realistici e ben proposti; altrettanto credibili sono i dialoghi con i servizi segreti. Molto meno attendibili sono le interazioni dei soldati con la popolazione civile, o di Matt Damon con giornalisti e soldati ai posti di blocco. Si vedono già quei germi (a mio avviso terribili) che lo porteranno ad interpretare la serie di Bourne; e se di sicuro qui la regia non aiuti, l’attore ci mette del suo a rendere poco realistiche situazioni che risultano chiaramente posticce.
Nello sviluppo della trama il film perde di mordente e di attendibilità. Il credito concesso inizialmente dallo spettatore viene speso progressivamente, fino a lasciare l’amaro in bocca per una produzione che denota una certa mancanza di idee sul finale, tanto da associare una comunque consistente sottotrama cospirazionista a scene d’azione piuttosto fantasiose. La fotografia in questo non aiuta, essendo piatta e priva di spunti che stupiscano. La fine del film arriva più come una liberazione che come degna conclusione della storia; un bruttissimo segnale.
Accanto a Matt Damon troviamo Brendan Gleeson, gia’ apprezzato protagonista di In Bruges e 28 Giorni Dopo, ed un discreto Greg Kinnear nel ruolo dell’antagonista. Sulla sedia del regista troviamo Paul Greengrass; qui i riferimenti (negativi) alla serie di Bourne trovano concretezza: è il regista dell’intera serie. Tutte le sensazioni provate durante la visione del film e certe affinità trovano quindi inaspettatamente conferma. Paradossalmente Greengrass è lo stesso regista del magnifico Bloody Sunday, e non ci si spiega come possa essersi involuto così tanto.
Green Zone è un film mediocre, a metà fra l’impegno, lo storico e l’azione spiccia. Non ha seri motivi per essere visto, e non mi sento di consigliarlo anche se non si tratta alla fine di una pellicola così orribile.