Gli Stati musulmani sono divisi sulla Palestina

Turchia, Iran e Arabia Saudita: tre Paesi musulmani che stanno reagendo differentemente a quello che accade a Gaza. Cosa rappresenta questo per il Medio Oriente?

 

 

Nel corso della storia, gli Stati a maggioranza musulmana ci hanno abituato a risposte unitarie di fronte a crisi internazionali che interessano l’area del Medio Oriente e del Nord Africa; questa tendenza ha registrato delle interruzioni nel corso degli ultimi 20 anni e ultimamente questa differenza si è resa più evidente riguardo la questione palestinese. Il mondo islamico non ha risposto in maniera univoca nei confronti della rappresaglia israeliana sulla striscia di Gaza, ma ciò non ha lasciato stupiti gli esperti: tale situazione ha reso una fotografia degli attuali equilibri e delle tendenze strategiche nella regione mediorientale.

Analizzando le attuali posizioni dei Paesi musulmani nei confronti della Palestina, troviamo Stati che si pongono come strenui difensori delle ragioni palestinesi, mentre altri si posizionano in una via di mezzo in cui la cautela maschera ragioni ben più profonde.

Prendiamo ad esempio la Turchia di Tayyip Erdoğan, tra gli Stati più impegnati nel puntare i riflettori sui bombardamenti israeliani e a perorare le richieste palestinesi. Prese le giuste distanze dalle attività di Hamas, Ankara sta dando seguito al di fuori dei propri confini alla propria politica neo-ottomana, tanto cara al proprio Presidente. La turchia di Erdoğan è un Paese dalla forte identità islamica in cui è continuo il richiamo ai fasti dell’Impero Ottomano non solo in chiave rievocativa, ma soprattutto come proiezione regionale attuale.

 

 

Non è un segreto da che parte si schieri invece l’Iran, alleato di Hamas e principale nemico di Israele. Gli analisti non hanno trovato delle prove inconfutabili sul coinvolgimento diretto di Teheran nell’attacco del 7 ottobre scorso ma, a prescindere dalla risposta a questo quesito, la strategia egemonica della Repubblica Islamica ha aiutato negli ultimi anni Hamas sia con addestramento che con finanziamenti. Il Governo iraniano si è espresso pubblicamente a favore dei civili palestinesi, ma il proprio favore è stato rivolto anche agli attacchi terroristici contro gli israeliani.

A differenza dei primi due esempi, l’Arabia Saudita sta tenendo una posizione di mezzo in cui dichiarazioni a favore dei civili palestinesi vengono accompagnate da colloqui diplomatici con Israele. Secondo vari autori, sarebbero proprio le relazioni del Regno saudita con Tel-Aviv ad aver spronato Hamas ad attaccare in questo momento; negli ultimi tempi, infatti, i due Paesi avevano aumentato i propri contatti diplomatici al fine di raggiungere una stabilizzazione nelle relazioni. Il desiderio di Riyad sarebbe quello di non perdere il lavoro fatto in questi anni; la mancata rottura totale con Israele a seguito dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza farebbe propendere per una posizione di non interferenza dei sauditi.

 

 

Questi tre esempi riescono a restituirci l’attuale posizione delle maggiori potenze mediorientali. La Turchia cerca un ruolo di leader nel mondo musulmano e lo fa unendo tradizione e diplomazia; sono molteplici gli esempi, di cui l’ultimo tra Russia e Ucraina, in cui Ankara si è promossa come interlocutore di riferimento in ambito internazionale. Le ambizioni turche in questo caso hanno una dimensione prettamente regionale e mirano a porre il Paese quale punto di riferimento del mondo musulmano.
Le ambizioni iraniane invece si basano su un’ideologia rivoluzionaria e l’obiettivo non è quello dell’influenza, ma del dominio.
L’Arabia Saudita rappresenta tutte quelle monarchie sunnite del Golfo che negli ultimi anni si sono presentate sulla scena occidentale come nuovi fornitori di servizi e partner commerciali; prendere una posizione netta a favore della Palestina rischierebbe di sperperare tutto il soft power accumulato in questi anni.

Il Medio Oriente e il mondo musulmano in generale viene spesso considerato un monolite, ma al suo interno sono presenti mille sfaccettature. Le posizioni prese dai Paesi musulmani nei confronti del conflitto in Palestina testimoniano come l’aspetto religioso non guidi più da solo le strategie dei Governi mediorientali; a questo si affiancano motivazioni economiche ed egemoniche che vanno considerate nella loro realtà a prescindere dall’elemento confessionale.

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