Terminata domenica la prima grande corsa a tappe del 2022, tracciamo un bilancio che non può lasciare del tutto soddisfatti.
Il Giro d’Italia numero 105 si è concluso lo scorso fine settimana nella stupenda cornice dell’Arena di Verona, che ha incoronato vincitore Jai Hindley. L’australiano ha compiuto un’impresa che in pochi pensavano potesse concretizzarsi, scippando la maglia rosa al colombiano Carapaz alla penultima tappa quando le sue speranze erano al lumicino.
Com’è stato questo Giro d’Italia? Nonostante l’incertezza del risultato finale, con tre ciclisti arrivati in poco più di tre minuti di distacco totale (Hindley, Carapaz e lo spagnolo Landa), lo spettacolo tecnico è un pò latitato. Rispetto all’edizione dello scorso anno sono mancati i grossi campioni, tutti in preparazione per il Tour de France; i nomi dei papabili vincitori ruotati nelle tre settimane di gara hanno incluso Almeida, Bardet e Lopez, il giovane spagnolo che ha portato la Maglia Rosa per diversi giorni prima di cederla al colombiano. Comprimari Hirt, Bilbao e il vivacissimo Van Der Poel, l’olandese provienente dal ciclocross che ha attaccato praticamente in ogni tappa con pochissime reali velleità di trionfo finale.
Presenti, ma assenti nei risultati, Valverde e Gaviria; non c’erano poi Bernal, il vincitore 2021, ancora alle prese col difficile recupero dopo il drammatico incidente stradale occorso questo inverno in allenamento, e nemmeno il nostro Sonny Colbrelli, la cui carriera è al momento interrotta per via del malore che lo ha colpito qualche mese fa e che per un pelo non se l’è portato via.
Nonostante mancassero i veri fenomeni di questi anni, la gara è stata comunque piacevole; fortunatamente non ci sono state cadute di rilievo, e come detto il risultato aperto fino all’ultimo giorno non ha fatto altro che mantenere alta l’attenzione degli appassionati.
Si sono viste anche delle azioni interessanti e particolarmente sbalorditive; come quella di Buitrago, che dopo essere caduto a metà tappa ha recuperato e poi bruciato Leemreize sulla salita verso Lavarone o come quella del nostro Alessandro Covi, in grado di conquistare in una sola tappa Passo Pordoi e la Marmolada, involandosi in solitaria a 50km dall’arrivo e resistendo agli attacchi giunti degli ultimi chilometri.
Alessandro Covi è proprio l’unica vera nota positiva per il ciclismo italiano, che nella Top 10 ha messo solo Nibali, quarto e che ha annunciato il ritiro, ed il quarantaduenne Domenico Pozzovivo, ottavo e che potrebbe anche lui interrompere la carriera a fine stagione. Dietro di loro, il nulla; un po’ per i ruoli da gregari che i nostri ciclisti devono tenere nelle squadre di appartenenza, un po’ per mancanza di talento; lo stesso Ciccone, attesissimo al via, si è fatto notare vincendo la tappa di Cogne ma è arrivato staccatissimo in classifica generale.
È un peccato che la gara ciclistica più importante dello stivale abbia vissuto un’edizione così sotto tono, ma la colpa non è solo della mancanza dei nomi di richiamo o di campioni italiani. Grossa colpa l’ha anche l’organizzatore, quella Gazzetta Dello Sport capacissima di dedicare fin troppe pagine al calcio, raccontando magari vita, morte e miracoli del Vigor Zagarolo alle prese con un campionato di ultima categoria (sempre che esista il Vigor Zagarolo) e relegando le notizie internazionali di qualsiasi altro sport in piccoli stralci in fondo al giornale (quando presenti). Se il quotidiano sportivo per eccellenza non tutela il suo prodotto, è ovvio che le squadre ciclistiche virino verso gare più redditizie dal punto di vista del montepremio (appunto il Tour, ma anche la Vuelta che sta raggiungendo lo stesso montepremio del Giro).
In TV le cose non vanno molto meglio: dalle lunghissime e colorite telecronache del compianto De Zan siamo passati ad una Rai in disarmo con un gruppo di voci piuttosto piatte ed incapaci di emozionare salvo alcuni siparietti fra Pancani, il cronista principale, e Rizzato sulla moto.
Per vedere una telecronaca interessante ormai da anni occorre virare su Eurosport, dove Luca Gregorio e Riccardo Magrini formano una coppia rodata e divertentissima, affiancati da Wladimir Belli e Moreno Moser. Anche qui non sono tutte rose e fiori: per qualche motivo Eurosport non rende l’audio italiano disponibile sul servizio on demand, quindi nonostante l’abbonamento o si vede la gara in diretta o tanto vale ripiegare sulla mediocre Rai.
Al Giro d’Italia resta ancora l’arma principale: tappe suggestive, difficili e memorabili che affascinano, rapiscono e stupiscono per la bellezza e la difficoltà: come l’arrivo in cima all’Etna, i passaggi nelle strette strade in Basilicata o sulle Dolomiti, le scalate di Passo Lanciano e del Blockhaus, il Mortirolo, il Vetriolo e le altre già menzionate faticosissime vette inarrivabili, teatri di sbalorditivi sforzi atletici che coronano panorami che solo il nostro paese può offire e che catturano anche uno spettatore non appassionato grazie alla loro maestosità.
Se per vedere in azione i più forti ciclisti di questi anni come Pogacar, Alaphilippe, Roglic, Froome e Van Aert dovremo aspettare ancora un mese, non resta che sperare in un repentino cambio di passo: se il Giro d’Italia vuole tornare ai fasti del passato deve essere maggiormente attrattivo per le squadre World Tour; e questo compito spetta pressochè totalmente all’organizzazione.