Giorgia, privatizzare è un errore

Mantenere un saldo controllo delle industrie strategiche è fondamentale per la sicurezza dello Stato; lo insegna lo scempio degli anni ’90 compiuto dai soliti noti.

 

 

Quando si parla di privatizzazioni, non può non tornare alla mente quanto successo negli anni ’90, quando un patto in sede Unione Europea fra Andreatta e l’allora commissario Van Miert gettò le basi per la svendita a basso prezzo dei principali asset strategici italiani e dei pezzi pregiati dell’industria italiana allora controllate dallo Stato; fu la fine di IRI, di Montedison, di Sip e di tante altre eccellenze italiane che potevano fare la voce grossa nel campo della chimica, della siderurgia del tecnico pesante, del bancario e dello sviluppo.

In questi trent’anni abbiamo avuto modo di constatare come fin da allora la strategia di un certo consorzio politico fosse quella di sottrarre allo Stato ed ai cittadini per dare agli amici e ai grandi gruppi economici, anche stranieri. Non è un caso se la mano politica che orchestrò il gran banchetto è stata la stessa a farci confluire nell’Euro, una moneta priva di una normativa che unifichi realmente le norme su finanza e lavoro dei Paesi che la usano.

 

 

Oggi ci ritroviamo a sorpresa con un nuovo slancio verso le privatizzazioni; uno slancio che viene da una coalizione che avevamo pensato essere più indirizzata a rafforzare la posizione della Nazione Italia in campo geopolitico che a vendere i pochi elementi di valore rimasti sotto il controllo dello Stato.
Per poter tutelare i suoi cittadini, uno Stato non può astenersi dal controllare le infrastrutture strategiche più importanti e che da sole possono sostentare o mettere in ginocchio una Nazione: energia, telecomunicazioni, ferrovie, strade, equipaggiamenti militari e medicali, industrie pesanti, di approvvigionamento e trasformazione. Tutto quanto sia chiave per un Paese deve essere necessariamente controllato, direttamente o indirettamente, dallo Stato.

Il liberalismo sfrenato potrebbe affermare il contrario, ma la realtà è che cedere a privati determinate infrastrutture (si pensi alle reti di telecomunicazione, tanto per fare un esempio) espone il cedente al possibile ricatto, spionaggio o boicottaggio da parte di terzi, che siano privati o Stati esteri. Certe industrie strategiche sono poi fondamentali, ed il loro sovvenzionamento anche in periodi di crisi può essere funzionale al ritrovarsi in mano la stessa infrastruttura passato l’uragano; l’esempio di Ilva, venduta a proprietà straniere intenzionate unicamente ad eliminare un concorrente scomodo, è estremamente esplicativo.
A voler forzare il passaggio, il discorso potrebbe facilmente ampliarsi anche al mercato libero, altra forma di privatizzazione indiretta implementata nel corso degli anni e che ha visto i prezzi crescere enormemente rispetto al valore calmierato imposto dallo Stato. Carburanti, energia, gas per riscaldamento sono beni troppo preziosi e troppo soggetti a speculazioni e cartelli per poter essere abbandonati al cuore magnanimo dei privati. Privatizzazioni e mercato libero vanno chiaramente contro gli interessi dei cittadini, ed uno Stato che abbia a cuore la sua società dovrebbe agire di conseguenza.

È per questo che la proposta embrionale del governo Meloni stupisce; la privatizzazione è per sua stessa natura contraria alla forza ed all’integrità di uno Stato, e la stessa Giorgia Meloni si dichiarava contraria al giro di privatizzazioni effettuato dal PD nel 2018. Perché questo cambio di rotta? Cosa ci guadagna l’Italia vendendo gli asset rimanenti, considerando che il ricavo previsto è di soli 20 miliardi di euro?

 

 

Per quanto possa essere di primo acchitto fuori moda, una forte presenza Statale è vitale per salvaguardare una Nazione. La gestione dei prezzi dei beni fondamentali e il controllo degli asset strategici, specialmente in un periodo storico dove la globalizzazione e l’instabilità economica e politica internazionale, sono l’unica cosa che permette ad una Nazione di mantenere la propria indipendenza, la propria sovranità e di non lasciar affogare i propri cittadini nel mare delle speculazioni.

Giorgia, pensaci bene: è davvero questa la scelta migliore per l’Italia?

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