Il Federal Open Market Committee come banchiere del mondo. Ecco perché siamo (ancora così) dipendenti dagli Stati Uniti.
Il Federal Open Market Committee (FOMC) è il comitato responsabile delle decisioni di politica monetaria del Paese, presieduto dal capo della Federal Reserve (FED) degli Stati Uniti, la banca centrale americana. Si compone di 12 membri, di cui 7 appartenenti al consiglio dei governatori e i restanti 5 sono tra i 12 presidenti delle banche regionali della Federal Reserve. Generalmente, Il FOMC si riunisce 8 volte l’anno o più spesso, qualora necessario, per discutere delle principali tematiche di politica monetaria, analizzare gli ultimi sviluppi dei mercati finanziari, locali e globali, l’andamento dei tassi di interesse, la quantità di denaro in circolazione nell’economia, ecc.
Oltre agli strumenti convenzionali, il FOMC può servirsi di ulteriori strumenti di politica monetaria quali l’acquisto di titoli di stato e di altre attività finanziarie, per influenzare le condizioni di mercato e stimolare l’economia e/o ridurre la disoccupazione, in particolare durante le recenti crisi finanziarie. Proprio grazie al suo ruolo chiave nella gestione dell’economia, con l’obiettivo di garantire una certa stabilità dei prezzi, una crescita economica sostenibile ed altri aspetti fortemente impattanti sui mercati finanziari e sulle condizioni economiche del Paese, il FOMC è stato definito anche il “banchiere del mondo”.
La sua influenza, infatti, non si esprime unicamente a livello nazionale, ma le scelte di politica monetaria americana hanno risvolti significativi a livello mondiale, come tristemente è emerso durante le recenti crisi finanziarie.
Quali sono i riflessi sulla nostra economia?
Il sistema statunitense svolge storicamente una funzione di intermediazione finanziaria a livello globale. Storicamente, il ruolo di “banchiere del mondo” gli è stato attribuito con gli accordi di Bretton Woods, nel 1944, che istituì il cosiddetto sistema aureo indiretto, grazie al quale il dollaro statunitense veniva ancorato all’oro con un rapporto di 35$ per una oncia. Tutte le valute iniziarono ad essere scambiate in rapporto al valore del dollaro: detenere dollari equivaleva quasi a possedere oro. Dopo lo scioglimento di Bretton Woods, è stata la globalizzazione a dare nuovo slancio al ruolo degli Stati Uniti nel mondo, grazie ad un forte aumento dei flussi di capitale transfrontalieri.
Ad oggi, le decisioni del FOMC influenzano l’economia globale. Innanzitutto, nonostante il recente fenomeno di de-dollarizzazione cui stiamo assistendo, soprattutto nei paesi medio-orientali, molte economie hanno legato la loro valuta al dollaro USA, che è divenuta, nel tempo, una valuta di riserva paragonabile all’oro, bene rifugio per antonomasia. Pertanto, questi paesi hanno assoggettato, più o meno consapevolmente, la loro politica monetaria a quella della FED, mettendo, in alcuni casi, il “pilota automatico”. Di conseguenza, quando la FED modifica il proprio tasso d’interesse, le economie periferiche ancorate al dollaro seguono per lo più con aggiustamenti analoghi delle loro condizioni monetarie.
C’è inoltre da considerare che una quota consistente del credito globale ha come valuta il dollaro. Di conseguenza, l’influenza della FED sul valore di scambio del dollaro influisce sul peso del debito estero di molti Paesi. Un aumento dei tassi di interesse ha provocato, storicamente, un apprezzamento del dollaro considerevole, con conseguente incremento dell’onere del debito di molte economie.
Per lo stesso principio, una variazione dei tassi d’interesse modifica l’attrattiva degli investimenti negli Stati Uniti, causando un flusso di capitali da/verso il Paese. Questo, a sua volta, può avere effetti sull’economia globale poiché i flussi di capitale possono influenzare il valore delle valute e la disponibilità di prestiti. Incide inoltre sulla domanda di materie prime e di prodotti finanziari, rendendo i costi di finanziamento più elevati.
Questi fattori mettono in luce una (ancora) fortissima dipendenza, a livello mondiale, dagli Stati Uniti sotto molteplici punti di vista e fanno emergere l’esigenza, pressante, di trovare soluzioni alternative all’egemonia americana. Al servilismo europeo degli ultimi decenni si contrappone un Medio Oriente tenace ma ancora poco organizzato e internamente diviso. Considerati inoltre gli approcci spesso poco etici delle principali economie asiatiche alle questioni di politica monetaria, non è ancora auspicabile una presa di potere tale da far sì che queste potenze possano rappresentare, ad oggi, una valida alternativa agli USA. Di certo l’emergenza pandemica prima e la guerra in Ucraina poi, hanno sottolineato l’esigenza di maggiore indipendenza, in particolare in Europa, rispetto alle decisioni d’oltre oceano. Inoltre, la Brexit ha inferto un altro duro colpo alle già timide pretese di indipendenza europee, seppur si tratti, in generale, di contesti in cui trovare un compromesso rimane sempre molto ostico.