Elezioni UE: le destre vincono ma non abbastanza

Nonostante l’evidente bocciatura delle sinistre, i numeri potrebbero ancora una volta confermare in sella il vecchio esecutivo; ecco gli scenari possibili.

 

 

Con un rovesciamento di preferenze che ha visto la quasi totalità dei Paesi membri dell’Unione Europea far emergere i partiti di destra come prime formazioni locali ed elementi cardine della futura politica continentale, il volere popolare ha sancito quanto da tempo su queste pagine viene espresso: la politica dell’Unione Europea dettata dall’alleanza socialisti-popolari si è dimostrata fallimentare su ogni fronte e deve essere abbandonata e sostituita.
Che si tratti di immigrazione, di competitività industriale, di ecologia o politica internazionale, non c’è un solo argomento sul quale la maggioranza dei cittadini europei si possa dire soddisfatta del modus operandi di un’Unione Europea governata da ideologie politically correct e di ecologia estrema che nei fatti l’hanno fratturata internamente e portata ai margini della vita politica internazionale.

Con due bombe come le elezioni anticipate in Francia ed un possibile scioglimento del Parlamento tedesco, è evidente come la tornata elettorale dello scorso fine settimana sia stata un mezzo terremoto, che forse solo in Italia non si percepisce come tale. Tutti i partiti di sinistra europei che detengono la maggioranza o vedono un loro esponente come capo del Governo hanno subito un tracollo più che evidente, e che solo chi è in malafede non vuole riconoscere.

Eppure, all’atto pratico, i numeri dicono altro. Il primo fattore da tenere in considerazione è l’affluenza alle urne, mediamente intorno al 50% e più bassa nei Paesi più bistrattati dall’Unione Europea: Grecia, Italia, Portogallo e nazioni dell’est Europa. È evidente che questo ha inciso sull’assegnazione dei seggi: se gli scontenti non vanno a votare, la vecchia coalizione ha vita facile.
Ed infatti in base al conteggio parziale, in via di consolidamento e che non dovrebbe portare grossi scossoni, la sinistra europea riesce a contare su un numero ancora pesante di rappresentanti, 266 a cui si potrebbero aggiungere i 36 del raggruppamento di estrema sinistra The Left. A destra i numeri sono molto più risicati, con appena 131 seggi allocati ai conservatori più o meno radicali e 14 al difficilmente alleabile Alternative Fur Deutschland. L’ago della bilancia sarà, come nella più storica tradizione delle democrazie, la formazione centrista dei popolari, con i suoi 186 deputati. Quali sono i possibili scenari?

 

Fonte: Parlamento Europeo

 

Quello più probabile vede una riconferma dell’esecutivo uscente, nonostante i sonori schiaffoni arrivati dal voto popolare e l’evidenza della volontà di molti cittadini europei di cambiare direzione. Popolari, socialisti, verdi e i centristi di Renew Europe arriverebbero a 452 seggi, ottenendo un’ampia maggioranza che consentirebbe di mantenere le leve del potere e di proseguire nelle politiche tanto controverse che prediligono le ideologie alla concretezza che necessiterebbe l’Unione Europea.
L’alternativa è al momento piuttosto remota: popolari e conservatori insieme raggiungerebbero i 317 seggi, lontani da quei 360 necessari per ottenere una maggioranza stabile. Anche se fantasiosamente volessimo aggiungere nel gruppo Renew Europe (e sarebbe da capire con quale comunione di intenti con i gruppi conservatori), si arriverebbe ad appena 396 seggi, ai quali dovrebbero sottrarsi gli inevitabili franchi tiratori, non compensabili con i 14 seggi di AFD che potrebbe fornire un appoggio esterno.

Alla conta mancano circa un centinaio di seggi assegnati a formazioni minori o non allineate, ed i dati ancora in via di scrutinio potrebbero ribaltare le carte in tavola specialmente considerando il fatto che nel proprio Paese sia Macron che Scholtz sembrano indirizzati verso l’opposizione. Ma a restare coi piedi piantati in terra, è più probabile che l’Unione Europea continui a marciare imperterrita per altri cinque anni nella stessa direzione ideologica e fallimentare che l’ha contraddistinta da quando si è abbandonata la CEE per formare un macro-Stato privo di legislazione comune, di tassazioni uniformi e dove la sovranità nazionale è stata strappata ai cittadini senza chieder loro nemmeno il parere.

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