Nella prima stagione mi sono perso. Nella seconda stagione mi sono perso. Forse l’obiettivo di questa serie è far perdere lo spettatore?
In un’intervista agli autori di Dark è stato chiesto un paragone con la serie Lost e la risposta è stata: ”Noi sappiamo dove stiamo andando, non ci perderemo com’è successo nella serie americana”. Ora, non vorrei essere l’uccello del malaugurio, ma io mi sono perso, e non una volta sola. Come detto anche nella prima stagione, Dark è difficile da masticare, principalmente perché non siamo abituati a sentire ed associare nomi tedeschi a volti d’attori tedeschi; aggiungiamoci anche che la serie abbraccia più di un secolo di storie, e che gli stessi personaggi sono stati rappresentati da giovani, da adulti e da vecchi, impiegando tre attori differenti.
Se questo non dovesse bastare, aggiungiamoci anche che, sempre più personaggi si spostano da un tempo all’altro, ma nel medesimo luogo, un bosco, che quindi non da molti punti di riferimento. Infine, se anche questo non vi ha creato confusione, c’è il caso che vuole lo stesso personaggio, interpretato dallo stesso attore, proveniente da momenti differenti della sua vita, che interagire allo stesso momento, nello stesso luogo, con le stesse persone. Se ancora non siete scoraggiati, arriva la mazzata finale, ad un certo c’è anche chi cambia nome.
Appurato che è facile perdersi e che è ancora più facile confondere i personaggi, è semplice affermare che la confusione e lo smarrimento siano i cardini portanti della storia. Stabilito questo, posso solo che applaudire gli autori e i registi di questa serie, perché sono riusciti a portare sullo schermo proprio quello che desideravano; in più sono stati capaci di legare lo spettatore alle vicende imperscrutabili, di molti personaggi.
Come per la prima stagione, non mancano le lunghe scene con musiche inquietanti e zero parole; devo ammettere che questo modo di svolgere le trame, senza parole ma condividendo in silenzio le stesse cose che il protagonista vede, è particolarmente efficace anche se risulta, a primo impatto, un po’ lento. Forse è un tantino azzardato il paragone, ma guardando queste scene accompagnate da musica e lunghi silenzi, mi è venuto naturale pensare a quanto siano simili alle lunghe scene a campo aperto di Blade Runner 2049.
I pochi protagonisti che hanno iniziato a viaggiare nel tempo continuano il loro percorso fino ad arrivare a ridosso di un momento importante. E’ proprio l’avvicinarsi di quest’ineluttabile situazione a spingere i viaggiatori ad interagire con i personaggi che ancora sono all’oscuro di tutto, creando coppie o gruppi destinati a scrivere le future trame. Arrivano le prime spiegazioni, cose che noi spettatori sappiamo già, ma che servono solo a fomentare sentimenti contrastanti e a far confondere ancora di più lo spettatore e i protagonisti stessi.
I veri obiettivi della storia sono ancora celati dietro le parole misteriose di una persona in particolare; per un momento ho pensato di aver intuito lo svolgimento della prossima stagione, o per lo meno l’asse portante atto a sorreggere il peso della storia, ma il finale di stagione mi ha cancellato tutte le ipotesi che mi ero fatto. Trovo divertente questo sistema che ti conduce in una direzione, t’illude di aver capito e poi ti sgretola, tra le mani, tutto quello che la tua mente aveva tentato invano di unire. Sembra di trovarsi davanti ad un puzzle, lo spettatore tenta di collocare i pezzi in modo da completare la figura, ma la figura stessa continua a cambiare tanto da costringere lo spettatore a smontare e rimontare lo stesso pezzo di puzzle più e più volte; sembra una specie di tela di Penelope, di giorno viene lavorata e di notte viene smontata.
Il prodotto rimane d’alto livello ed è vincente, quindi il mio voto sale di un punto rispetto alla scorsa stagione. L’obiettivo era di legare strettamente lo spettatore alla serie televisiva ed è stato raggiunto in modo efficace. Attendo con fiducia di capirci qualcosa di più nella prossima stagione, ma ormai ho acquisito la consapevolezza che dovrò per forza smontare ipotesi o certezze su cui baso la comprensione della storia fino ad ora acquisita.