Da cosa deriva il dissenso degli studenti?

Il nostro “futuro” ci sta mandando un segnale inequivocabile di cambiamento, e il mezzo sono ancora una volta gli studenti. Un amarcord tutto italiano.

 

 

Livorno, 11 Febbraio 2022.

Fuori dal liceo scientifico Enriques i palazzi si colorano del blu dei lampeggianti, e lo spazio è pervaso dal suono delle sirene.
Il massiccio intervento autorizzato dal questore su richiesta del Preside ha coinvolto il Reparto Mobile e la Digos, corpi che solitamente si occupano di ordine pubblico in situazioni altamente instabili o pericolose, facendo riaffiorare alla memoria lo storico momento spartiacque del Sessantotto, che infiammò gli atenei e gli studenti di quasi tutto il mondo.
Ad evitare il peggio ci hanno pensato la maturità e il senso civico degli studenti, che hanno scelto di abbandonare pacificamente l’edificio, sottraendosi così ad una spirale mediatica che li avrebbe tramutati da vittime a carnefici.

L’Italia è un paese vecchio in cui la morale individuale e l’etica comune additano il progressismo e la lotta per il cambiamento come vezzi di una generazione annoiata e priva di un codice di condotta “democristiano”.

 

 

Rintracciare nella noia e nell’assenza di valori il nocciolo delle proteste che hanno coinvolto, non solo il Liceo Enriques di Livorno, ma migliaia di licei in tutta Italia, equivale a gettare benzina sul nostro futuro, mentre lo spettro del disagio giovanile si aggira con una scatola di cerini in mano.
I nostri studenti sono saturi; lo stanno gridando con tutto il fiato in corpo per farci voltare verso la loro direzione, per farci vedere il corpo esanime della Scuola italiana che rotola verso uno strapiombo di disinteresse e disimpegno.

La pandemia ha tolto molto di più della presenza in aula a questi ragazzi: li ha inariditi, allontanandoli dai luoghi in cui potevano coltivare, scoprire ed accettare le proprie virtù, veleggiando nel vasto mare di possibilità che è la scuola, un luogo in cui il contatto fisico, emotivo e culturale, è il fulcro di una costellazione di individualità che formeranno una non troppo futura massa sociale.
I ragazzi di Livorno e di tutte le altre scuole d’Italia si sono voluti riappropriare di questo spazio e delle sue possibilità, dimostrando un attaccamento alla scuola che molti amano confondere con attaccamento alla confusione e all’ozio.

 

 

Se ascoltassimo veramente gli studenti, potremmo cogliere la paura che si cela sotto le urla di rabbia di questi ragazzi, mai considerati attivamente, ma sempre oggetto di direttive che gli indicavano, e gli indicano, i modi, i tempi e i luoghi della didattica. Ci saremmo imbattuti nel giustificato ostruzionismo condiviso da tutti gli studenti per l’architettura dell’alternanza scuola-lavoro, un sistema che non qualifica in nulla, ma che al contrario svuota il tempo dei ragazzi, privandoli di un concerto insegnamento, di uno studio spensierato e, a volte, della vita.

La gestione della scuola sotto la pandemia è stata opinabile. Abbiamo messo delle pezze, delle continue toppe che mascheravano di volta in volta il cuore del problema: non sapevamo cosa fare, e ci siamo accorti oltretutto di non avere i mezzi, le infrastrutture e in molti casi le capacità per poter fare qualcosa di realmente utile per la scuola.

 

 

Quello che è oggettivo è il disgusto degli studenti, veri abitanti del pianeta scuola; un mondo con una gravità pazzesca in campagna elettorale, una roccia solitaria ai margini dell’universo nel momento del bisogno.

Non lasciamo che il futuro ci sfugga di mano.

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