Crisi del Mar Rosso: quanto costa all’Italia e al mondo?

Le conseguenze economiche derivate dalle tensioni geopolitiche nel Mar Rosso stanno ridisegnando le rotte commerciali tra i diversi Paesi mondiali; quali i nuovi possibili equilibri?

 

 

Le recenti dinamiche geopolitiche nel Mar Rosso potrebbero avere effetti diretti sul commercio globale, sia in termini di inflazione e aumento dei costi di trasporto, sia in termini di affidabilità delle catene di fornitura.

In sostanza, è possibile che il commercio non sarà più il motore principale della globalizzazione: si stima una crescita annuale, da oggi fino al 2032, inferiore rispetto al tasso di incremento annuale atteso del PIL. Riassumendo, per la prima volta dopo circa 20 anni, il commercio potrebbe crescere meno del Pil globale. Si tratta di un’inversione di trend che durava dalla fine della Guerra Fredda e che potrebbe, paradossalmente, cambiare il vantaggio competitivo di alcune aree del mondo. A livello globale, per esempio, ci si aspetta un rafforzamento di alcune partnership commerciali tra un numero ristretto di Paesi, specialmente in Nord America, Europa e Asia.
Diversi sono i fattori attesi che influenzeranno le nuove dinamiche commerciali da qui a dieci anni: da un lato, la riduzione del commercio tra Usa e Cina, con un calo del valore commerciale stimato al 2032 pari a 197 miliardi di dollari rispetto al 2022; dall’altro, una crescita continua, seppur lenta, del commercio tra Cina e Ue. Contestualmente, le previsioni indicano una crescita commerciale media annua del 6,3% in India, pari a oltre il doppio della media globale, e una riduzione dei rapporti commerciali tra Russia e UE di 222 miliardi di dollari che migreranno, verosimilmente, verso i Paesi Bric (Brasile, Cina, India e Sud Africa).

A livello europeo, gli analisti parlano di una crescita del valore reale degli scambi commerciali pari al 2,1% all’anno, raggiungendo i 16.300 miliardi di dollari entro il 2032, grazie anche al rafforzamento dei rapporti commerciali con gli Stati Uniti per il commercio di beni, con un incremento previsto del 38% circa. Inoltre, la transizione energetica e le politiche di sostenibilità come il Green Deal, rappresenteranno un forte incentivo per le aziende europee all’utilizzo di fonti energetiche a basse emissioni di carbonio, spostando la produzione in aree locali con l’obiettivo di rendere l’Europa indipendente rispetto a USA e Cina.

 

 

E l’Italia? Al di là delle stime per il prossimo decennio, già oggi la recente crisi del Mar Rosso, e il conseguente calo del traffico di navi mercantili tra l’Oceano Indiano e l’Egitto, è costata al nostro Paese circa 8,8 miliari di euro tra novembre 2023 e gennaio 2024.

A risentirne sono soprattutto i rapporti commerciali con Asia, Oceania, Paesi del Golfo Arabo e del Sud-est dell’Africa. Secondo recenti studi, il danno negli ultimi tre mesi sarebbe pari a 3,3 miliardi per mancate o ritardate esportazioni e 5,5 miliardi per il mancato approvvigionamento di prodotti manifatturieri, con conseguente incremento di valore dei prodotti trasportati via mare attraverso il Mar Rosso. A pagarne maggiormente le conseguenze sono state le piccole e microimprese (pmi) italiane, in primis in Lombardia, seguita da Emilia-Romagna, Veneto e Toscana. L’Italia è infatti uno dei Paesi maggiormente esposto e penalizzato in Europa: il volume di esportazioni delle pmi italiane per il settore manifatturiero verso i Paesi extra Ue è pari al 32,7% del totale europeo. Le esportazioni delle pmi italiane valgono 10,8 miliardi, di cui 4,2 miliardi per i prodotti alimentari seguiti dai prodotti in metallo e da gioielleria e occhialeria con 1,8 miliardi, la moda con 1,5 miliardi, legno e mobili con 1 miliardo.

La crisi del Mar Rosso, una politica monetaria restrittiva e la riattivazione delle regole europee di bilancio, potrebbero avere pesanti ripercussioni sul tasso di crescita del PIL italiano. Inoltre, la crisi dei container costerà un +2% del tasso di inflazione sia in Italia che in Europa, proprio ora che i prezzi avevano rallentato la loro corsa. In quest’ottica, l’attuazione del Pnrr rimane al momento una delle soluzioni indispensabili per alimentare la fiducia e la propensione degli investitori nei confronti delle pmi italiane, scongiurando al contempo un calo della produzione e dell’occupazione.

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