Come il femminismo sta assassinando la lingua italiana

Il femminismo imperante in parlamento sta distruggendo la lingua di Dante.

 

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Ministra. Assessora. Presidenta, Professora. Quello che in questi anni certi squallidi personaggi hanno fatto all’italiano è ridicolo. Da quando personaggi totalmente faziosi e pieni di preconcetti hanno assunto ruoli istituzionali che dovrebbero garantire l’imparzialità, anche la gestione della nostra lingua è andata a rotoli.

Nel corso della storia, la nostra lingua ha subito evoluzioni e cambiamenti, tutti volti alla chiarezza ed alla semplicità d’uso; si veda l’italiano arcaico, molto meno fluente del linguaggio utilizzato oggigiorno (anche se fortemente caratteristico e probabilmente più musicale). Dalla congiunzione “et” derivata dal latino si è passati all’odierno “e”, molto più lineare e fluido. Cosa c’è di fluido nella parola “assessora”?

Ci sono termini che, a prescindere dalla grammatica, hanno un significato neutro, e si usano da sempre sia per gli uomini che per le donne (o per le cose). Si vedano esempi comuni come pediatra, medico, flotta, paziente. Che bisogno c’è di snaturare una lingua per in nome di una ideologia malata figlia degli anni di piombo? A cosa servono queste battaglie, oggi?

 

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Si vuol dare a intendere che il “rispetto per le donne” passi anche attraverso l’utilizzo “corretto” della lingua italiana. Metto fra virgolette i due passaggi per motivi diversi; il secondo passaggio, perchè qui “corretto” dovrebbe in realtà intendersi come “modificato, indirizzato, direzionato”; cioè un utilizzo di comodo, di parte. Il primo passaggio è invece semplicemente ridicolo. Come se dovessimo quindi creare una forma lessicale per definire ogni forma o cosa: gli uomini, le donne, gli omosessuali, gli abitanti della Lettonia, gli idraulici, gli alieni di Marte; ognuno con una propria desinenza e declinazione. Folle, semplicemente folle; come il dover chiamare femminicidio l’omicidio di una donna – omicidio nel senso di uccisione di un essere umano non va più bene?

 

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La battaglia per difendere i più deboli non passa per una questione di sesso maschile e femminile, di razza, di classe sociale: passa per una educazione civica diffusa e pervasiva, dove i principi etici, morali e di equità vengono insegnati nelle scuole, in televisione, su internet. Principi dove nessuno è sfavorito, ma anche nessuno è favorito; principi dove una minoranza non può e non deve imporre a colpi di conferenze stampa ed indottrinamento dei giornalisti la propria visione su di una popolazione che davvero ha altri problemi che non seguire gli isterismi di una insoddisfatta, perfida megera.

Nonostante ci sia chi oppone validi motivi grammaticali all’utilizzo di questi termini, anche l’Accademia della Crusca, nel 2016, ha sdoganato questa orribile tendenza; proprio quell’Accademia della Crusca, diretta guarda caso da una donna, che dovrebbe essere l’ente preposto alla salvaguardia ed alla evoluzione della lingua italiana si è piegata ai dettami di qualche femminista di turno.
E allora si parta con termini inutili, che cozzano, che suonano male non per poca abitudine ma per un oggettiva assenza di musicalità.

 

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Ma è anche vero che la saggezza popolare non si fa ingannare, e non stupisce che un commento udito al tempo è “quelli dell’Accademia della Crusca hanno la merda nel cervello”. Aggiungerei: non solo loro. Troppe droghe in gioventù, troppo distacco dalla vita vera, troppo tempo libero, troppi pochi problemi seri da affrontare portano a questi risultati. Troppo odio ingiustificato nei confronti degli uomini.

D’altronde, se è vero che alcuni uomini hanno il complesso del pene piccolo, altre donne hanno il complesso d’inferiorità, e devono dimostrare (anche se non è chiaro a chi) la loro superiorità morale – la stessa superiorità morale che vorrebbe il dialogo, la comprensione ed il buon senso utilizzati in ogni contesto.

Rimane una sola opzione, per tentare di tramandare un linguaggio decente: resistere a queste ondate di follia e di odio, continuando a tenere duro continuando nella tradizione di una lingua che non deve morire, nè a causa di mentecatte rimaste agli anni ’70, nè per il troppo utilizzo di parole straniere che hanno corrispettivi italiani che rimangono inutilizzati, forse perchè meno di moda.

 

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